Le reazioni avverse agli alimenti sono comunemente classificate in immunologiche e non-immunologiche. Nel primo caso si parla di allergie alimentari; questa è il risultato di una attivazione specifica del sistema immunitario verso un alimento o verso alcuni componenti di esso. Un allergene (proteina presente nell’alimento a rischio e che nella maggioranza delle persone è del tutto innocua) innesca una catena di reazioni del sistema immunitario. Viene adottato il termine di intolleranza alimentare quando la reazione, pur verificandosi regolarmente dopo l’ingestione di un alimento, non dipende da un meccanismo immunitario.
Negli ultimi decenni molte conoscenze sono state accumulate sulle allergie alimentari derivate dagli alimenti tradizionali. I principali allergeni alimentari si trovano tra le proteine di uova, pesci, latte, arachidi, crostacei e molluschi, soia, frutta secca e grano [1]. La lista dei principali alimenti allergenici è stata recentemente allargata dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), in ottemperanza alle disposizioni della Direttiva 2003/89 della Commissione Europea.
Tale lista attualmente comprende: cereali contenenti glutine, pesce, crostacei, uova, latte, arachidi, soia, noci, sedano, senape, semi di sesamo, solfiti.
In considerazione del fatto che gli allergeni principali sono ben noti e che esistono metodi semplici e avanzati che permettono di testarne la presenza e la allergenicità, i cibi derivati da alimenti tradizionali non vengono testati dal punto di vista della allergenicità prima della messa sul mercato. La potenziale allergenicità è stata invece più volte chiamata in causa come controindicazione alla applicazione delle moderne biotecnologie alla produzione di alimenti [2].
Gli allergeni nascosti
Molti alimenti naturali sono allergenici; tuttavia, nei confronti di questi le preoccupazioni sono limitate in quanto, trattandosi di cibi noti e consumati da generazioni, i loro effetti sono conosciuti e studiati e quindi chi non tollera questi alimenti si può astenere dal consumarli.
Con la modificazione genetica è però possibile che la proteina prodotta dal nuovo gene risulti essere dotata di potenziale allergenico nel nuovo contesto cellulare. Nella maggior parte dei casi i geni transfettati provengono da donatori il cui potenziale allergenico «è sconosciuto o non è stato preventivamente testato» [3]. Ai fini della allergenicità, un OGM può comportarsi come un qualsiasi alimento che contenga «allergeni nascosti». Infatti è possibile trasferire da una pianta all’altra un gene che regola la sintesi di un allergene, e quindi la pianta geneticamente modificata acquisterà le caratteristiche allergeniche della pianta donatrice del gene. E’ altresì possibile che interazioni insospettate tra il gene introdotto e quelli dell’ospite, così come modifiche collaterali del metabolismo non rilevanti di per sé, possano scatenare reazioni allergiche o esacerbare i quadri patologici di cui già soffrono alcune persone.
Dal 1999 la FDA (Food and Drug Administration) e l’EPA (Environmental Protection Agency) hanno imposto alle ditte che producono o commercializzano cibi OGM di documentare scientificamente l’assenza di allergeni o di segnalarne l’eventuale presenza con una etichetta ben visibile.
Soia e mais ogm
Soia ad alto contenuto di metionina. Si tratta del caso più noto di un alimento che per effetto della modifica bioingegneristica abbia prodotto un alimento nuovo con potenzialità allergizzanti. La soia ad alto contenuto di metionina (un aminoacido essenziale, che cioè va assunto tramite l’alimentazione, dato che l’organismo umano non è in grado di sintetizzarlo) era stata creata inserendo un gene della noce brasiliana che codifica per una proteina ad alto contenuto di metionina. Il gene introdotto, quindi, risultava ottenuto da una nota sorgente allergenica. Infatti è risaputo che la percentuale di persone naturalmente allergiche alla noce brasiliana sia particolarmente elevata; ciò, invero, avrebbe dovuto sconsigliare a priori una qualunque utilizzazione dei geni provenienti da questo alimento. Lo screening sierologico specifico ha infatti dimostrato che il nuovo gene codificava per un allergene maggiore della noce brasiliana (Ber e 1), risultato confermato dalla positività dei test cutanei in soggetti allergici a tale alimento.
La soia ingegnerizzata è ovviamente stata ritirata dal mercato, non senza qualche polemica, anche perché non esiste una necessità di salute pubblica che giustifichi un tentativo di aumentare la qualità nutrizionale delle proteine di soia incrementandone il quantitativo di metionina [4].
Soia tollerante al diserbante glyphosate (soia Roundup Ready). Una pianta di soia tollerante al diserbante glyphosate (o glifosato) impiegato nelle coltivazioni è stata sviluppata inserendo un singolo gene (EPSPS-5-enolpiruvil shikimato-3-fosfato sintasi) proveniente da ceppi di agrobacterium, che codifica per un enzima che conferisce alla pianta la tolleranza nei confronti del diserbante glifosato. La composizione delle nuove piante era equivalente a quella della soia tradizionale e l’enzima, espresso a bassi livelli, proveniva da un ceppo batterico sprovvisto di allergenicità nota. L’analisi di omologia di sequenza della nuova proteina non aveva mostrato omologia con altri allergeni e la proteina era rapidamente digerita dalla pepsina. La commercializzazione per uso umano della soia tollerante al glifosato è stata quindi concessa.
Il mais StarLink. Il termine Plant-Incorporated Protectant (PIP) indica una pianta che ha acquisito per via transgenica una capacità pesticida. Attualmente i PIP più importanti, dal punto di vista del loro utilizzo, sono le piante di mais, cotone e patata che producono le tossine del Bacillus thuringiensis (Bt). Queste tossine sono definite proteine Cry; per esempio, la proteina Cry 9C è stata introdotta nel mais StarLink con la funzione di proteggere la pianta dall’aggressione di alcune specie di lepidotteri parassiti del mais.
Il mais transgenico dimostrò avere eccellenti proprietà insetticide.
La modifica del gene introdotto nel mais StarLink, attuata in modo che venga prodotta solo la tossina Cry9C, fa sì che quest’ultima sia di per sé resistente alla digestione tripsinica. Essa è quindi probabilmente in grado di resistere alle manipolazioni di preparazione degli alimenti e alla digestione e, pertanto, di interagire con il sistema immunitario. Nel 1998, in considerazione della parziale resistenza alla digestione e al calore, l’EPA ha limitato la registrazione dello StarLink mais all’alimentazione animale [5]. Tuttavia, nell’ottobre 2000, l’associazione ecologista Friend of the Earth trovò contaminazione da parte di mais StarLink nei tacos messicani. Nello stesso anno la Food and Drugs Administration ritirò il prodotto dal mercato, cancellando la licenza e proibendo per il futuro la semina di questo tipo di mais proprio per la sua potenziale allergenicità.
L’approccio ad albero decisionale
La potenziale allergenicità dei cibi OGM è stata oggetto di molti studi volti a individuare quei caratteri morfostrutturali sulla base dei quali predire il potenziale allergenico delle proteine. I protocolli classici di valutazione del rischio per le allergie alimentari sono basati su quattro elementi [2]:
• valutazione della allergenicità (un alimento o un suo componente sono allergeni potenziali);
• valutazione della dose di risposta (esiste un limite di concentrazione dell’allergene che non è nocivo);
• valutazione di esposizione (quanto la popolazione è esposta a un determinato allergene);
• sottogruppi di popolazione particolarmente vulnerabili (presenza e livello di suscettibilità della reazione allergica).
A partire da questi protocolli, nel 1996 uno studio condotto dall’International Life Science Institute (ILSI), dall’Allergy and Immunology Institute (AII) e dall’International Food Biotechnology Council (IFBC) ha elaborato un modello di studio articolato su un algoritmo decisionale gerarchico, che successivamente è stato adottato dalla FAO/OMS Expert Consultation on Foods Derived from Biotechnology [6]. Tale percorso di rilevazione della possibile allergenicità del prodotto transgenico, chiamato decision tree, consiste nel sottoporre il nuovo prodotto e, in particolare, la nuova proteina sintetizzata dall’organismo ricevente il gene, a una serie di controlli dell’allergenicità basati ciascuno su principi immunologici e/o chimico-fisici diversi. Il modello proposto suggerisce – come ovvio – innanzitutto di individuare quelle proteine prodotte da geni trasferiti e che provengono da sorgenti note per essere allergizzanti. In questo caso l’allergenicità dell’OGM deve essere controllata utilizzando test di screening sierologici specifici, impiegando il siero di soggetti con nota allergia alla sorgente del gene.
Strategia alternativa per la allergenicità
Nei casi in cui la proteina di interesse non è normalmente associata con un quadro allergico noto, o l’alimento modificato non è oggetto di consumo diffuso, viene raccomandata una strategia alternativa. Questa è basata sul raffronto di sequenze omologhe ad allergeni conosciuti e su studi di stabilità strutturale della proteina stessa.
La presenza di sequenze costituite da otto o più amminoacidi contigui (che costituisce la lunghezza minima per il riconoscimento antigenico della molecola) condivise sia dalla proteina in esame, sia da un allergene conosciuto, depone a favore della reattività immunologica della sostanza [7]. Se i test di omologia di sequenza risultano positivi, si può concludere che la nuova proteina sarà verosimilmente allergenica. In tali circostanze lo sviluppo commerciale di quel particolare OGM può essere arrestato. In ogni caso, quali che siano i risultati dei test di omologia, questi vanno verificati con lo screening sierologico specifico, e con il test di scatenamento alimentare in doppio cieco con placebo: se questi risultassero positivi, il risultato viene reso ancora più affidabile.
Nella maggior parte dei casi uno screening sierologico positivo indica che la nuova proteina è verosimilmente allergenica e lo sviluppo commerciale dell’OGM, quindi, sarà interrotto. Se il risultato dello screening sierologico specifico è dubbio, la nuova proteina deve essere sottoposta a uno screening sierologico mirato che utilizza i sieri di soggetti allergici a proteine che si ritiene siano correlate alla sorgente del gene. Se lo screening sierologico mirato è positivo, la nuova proteina è da considerare verosimilmente allergenica. Se lo screening sierologico mirato è negativo bisogna procedere con altri test.
La stabilità alla proteolisi è un criterio utile per valutare il potenziale allergenico di una proteina, seppure non sempre valido. Nel test di resistenza alla pepsina, la stabilità della proteina, saggiata in una soluzione che mima il succo gastrico, viene presa a parametro indiretto di allergenicità, dato che gli allergeni risultano essere particolarmente resistenti alla digestione enzimatica. Invero si tratta di un criterio estremamente empirico che di per sé non produce risultati di pratica utilità. Ciò ha stimolato la ricerca nel costruire modelli animali più appropriati che, pur fornendo informazioni rilevanti, sono stati oggetti di critica dato che di per sé l’allergia differisce notevolmente tra specie e, in definitiva, risulta fondamentalmente basata su determinanti di tipo individuale [6].
Il percorso decisionale [6] per il controllo dell’allergenicità degli OGM rappresenta un sistema bene organizzato in base a consistenti presupposti teorici. Tuttavia, al momento, esso è spesso considerato ancora largamente inadeguato a ottemperare pienamente ai suoi scopi. Infatti, di tutte queste indagini solo alcune possono essere effettuate e altre sono ancora troppo poco empiriche. Resta di fatto quindi che, con le prove eseguite prima della immissione sul mercato dei nuovi cibi, non esiste la prova sperimentale diretta della non allergenicità. Infatti, nei dossier che accompagnano la richiesta di autorizzazione alla commercializzazione (notifiche), la riprova di non allergenicità di un prodotto si basa essenzialmente sul fatto che la sequenza amminoacidica della nuova proteina non è assimilabile a nessuna delle 200 sequenze di amminoacidi riconosciute ufficialmente come allergeniche e pubblicate nelle banche dati specifiche.
Post marketing surveillance
La filosofia del percorso decisionale [6] è quella di valutare, prima della messa in commercio, la potenziale allergenicità di alimenti OGM con lo scopo di garantire la sicurezza del prodotto. Tuttavia, in considerazione dei limiti metodologici delle procedure analitiche di determinazione del potenziale allergenico, della ampia variabilità genetica delle popolazioni nonché delle grandi differenze geografiche e culturali nella assunzione alimentare umana, il gruppo di esperti ha ritenuto di sottolineare l’importanza della valutazione degli eventi avversi legati alla assunzione degli alimenti GM dopo che il prodotto è stato immesso sul mercato (post marketing surveillance), come garanzia addizionale di sicurezza d’uso [6].
Idealmente, dovrebbe essere messo in piedi un sistema di notifica degli eventi avversi a cui contribuiscano sia consumatori, sia l’industria alimentare. I dati notificati, ovviamente, necessitano di validazione sulla base, da un lato, della risposta clinica alla allergenicità, dall’altro, sulla dimostrazione di un rapporto causale tra evento avverso riportato ed esposizione all’alimento o a un suo componente. Questo tipo di raccolta dati dovrebbe innestarsi su sistemi di sorveglianza preesistenti, quali quelli del controllo delle malattie o i centri di monitoraggio della esposizione alle sostanze tossiche. La commissione di esperti ha riconosciuto i limiti di fattibilità di un tale sistema e ne ha anche individuato le criticità. I punti che maggiormente limitano la messa in opera di un sistema di post marketing surveillance sono [6]:
• la non completa tracciabilità e la non armonizzazione dell’obbligo di etichettatura di alimenti o di ingredienti OGM;
• la mancanza di dati di base sulla prevalenza e l’incidenza delle allergie alimentari;
• l’esistenza di molti fattori confondenti (legati al cibo, ma non solo) che comportano distorsioni nella interpretazione delle relazioni causa-effetto;
• i cambiamenti degli stili di vita alimentari;
• la mancanza di personale esperto e di infrastrutture.
È ovvio che molte di queste problematiche sono maggiormente rilevanti per le aree disagiate e per i paesi in via di sviluppo mentre le aree sviluppate hanno le potenzialità di superare più facilmente queste criticità, potendo contare su sistemi di monitoraggio già in atto, su personale esperto, su una evoluzione rapida della normativa relativa ai prodotti alimentari che risponda meglio alle esigenze del mercato e della tutela dei consumatori.
Vantaggi e limiti dell’uso di modelli animali
Proprio le limitazioni metodologiche legate al percorso decisione FAO/OMS hanno portato la comunità scientifica alla ricerca di metodi e modelli alternativi per la valutazione della allergenicità di alimenti OGM. Infatti, sebbene l’approccio dell’albero decisionale fornisca importanti informazioni per l’identificazione di proteine con omologia sierologica o strutturale a noti allergeni, non permette un’analisi diretta del potenziale di sensibilizzazione delle proteine e non tiene conto di altri fattori legati allo sviluppo di allergie [8]. Considerando la sua enorme superficie, la mucosa intestinale è provvista di uno dei più importanti tessuti immunitari e comprende una complessa rete di meccanismi che interagiscono tra di loro e che sono in grado di identificare e rimuovere sostanze estranee, come i microrganismi patogeni, di distruggere le cellule infette e di sviluppare una memoria immunologica per facilitare una risposta rapida a una successiva esposizione agli antigeni. Il sistema immunitario gastrointestinale deve essere in grado di discriminare tra agenti dannosi e sostanze innocue, deve quindi proteggere la mucosa contro i patogeni, ma anche evitare reazioni di ipersensibilità verso le proteine alimentari, la normale flora batterica e altre macromolecole presenti nell’ambiente intestinale [9].
L’uso dei modelli animale per la valutazione della allergenicità è stato negli ultimi anni rivalutato. Infatti, nell’originale albero decisionale ILSI/IFBC non erano stati inclusi modelli animali nello svolgimento del processo decisionale, anche se era stato espresso il parere che si sarebbero dovuti sviluppare modelli animali affidabili [7]. L’albero decisionale FAO/OMS [6] ha incluso, invece, l’approccio con i modelli animali, per avere una visione più «olistica» del potenziale allergenico degli alimenti e per fornire una valutazione più diretta della capacità delle proteine di indurre risposte allergiche in vivo.
In letteratura ci sono pochi studi sulla valutazione di allergenicità degli alimenti GM effettuati con l’uso di modelli animali. La allergenicità della soia GM Roundup Ready (tollerante al glifosato e prodotta dalla Monsanto) è stata ampiamente studiata mediante esperimenti specifici effettuati su ratti Sprague-Dawley adulti. La prima serie di lavori su questo argomento aveva mostrato la non allergenicità della soia GM che risultava caratterizzata da rapida digeribilità e dalla assenza di glicosilazione (caratteristica questa comune a molte proteine che determinano allergia) [10].
Una conferma della non allergenicità della soia Roundup Ready è venuta da uno studio di alcuni ricercatori [11], che nel loro esperimento hanno iniettato per via sottocutanea ai ratti un omogenato di soia con lo scopo di ottenere una sensibilizzazione specifica alla proteina. Anche con questo protocollo sperimentale non venne messa in evidenza alcuna reazione cutanea né un aumento di istamina in seguito alla sensibilizzazione che doveva essere massimizzata per effetto delle modalità di somministrazione dell’allergene. Successive elaborazioni di questi protocolli sperimentali con i ratti a cui veniva iniettata la sola proteina ricombinante EPSPS purificata [12] oppure con la somministrazione intragastrica di estratto di semi di soia GM [13] hanno sostanzialmente confermato una risposta simile nei topi sensibilizzati con la soia GM rispetto a quelli di controllo. A indicazione del fatto che i modelli animali possono riconoscere un’alterata immunogenicità con proteine derivate da piante GM, si riportano i dati pubblicati dal gruppo di Prescott [14].
Questi autori hanno utilizzato il pisello Pisum sativum in cui era stato inserito il gene dell’inibitore-1 della a-amilasi (aA-1) del fagiolo comune, per proteggere i semi dal danno mediante inibizione dell’enzima a-amilasi. Il lavoro ha dimostrato che l’espressione della aA-1 portava alla sintesi di una forma modificata della proteina, che aveva cioè diversa glicosilazione e probabilmente differenze nelle catene alfa e beta. Questa proteina possedeva proprietà immunogeniche diverse dalla proteina nativa. Infatti, la somministrazione intragastrica di una sospensione dei semi di pisello transgenico per aA-1, ma non di pisello convenzionale, a topi induceva sviluppo della «risposta di ritardata ipersensibilità» e una risposta di tipo infiammatorio con eosinofilia polmonare accompagnata a ipersecrezione di muco e a ipereattività delle vie aeree.
Soggetti particolarmente suscettibili
Un altro aspetto da non sottovalutare, e che dovrebbe essere preso in considerazione, è che esistono delle condizioni fisiologiche di maggiore vulnerabilità, quali l’accrescimento e l’invecchiamento, in cui si possono verificare risposte inadeguate o alterate a carico del sistema immunitario. L’ipersensibilità agli alimenti è infatti più comune nei bambini che negli adulti, anche a causa di un sistema immunitario non completamente maturo [15]. Negli anziani, invece, il sistema immunitario può essere meno efficiente e la presenza di infezioni e/o infiammazioni può ulteriormente comprometterne il funzionamento [16]. Per questi gruppi di popolazione, ma anche in un’ottica più generale di tutela del consumatore, è importante che il pubblico abbia una informazione il più esaustiva possibile sulla composizione degli alimenti che compra mediante una etichettatura che sia strumento di informazione comprensibile, corretta e non ingannevole.
Bambini. Molti studi condotti sull’animale hanno dimostrato che durante il periodo perinatale le giunzioni strette tra le cellule non sono così «strette», facendo aumentare la permeabilità intestinale che permette il passaggio di antigeni alimentari e batterici nel sottostante tessuto [17-18]. Questi potrebbero promuovere una risposta immunitaria, in quanto è noto che la tolleranza orale non è ancora indotta nel neonato. Il sistema immunitario non matura pienamente fino a quattro anni di età [15], quindi questa naturale immunodeficienza, insieme a difetti nella permeabilità intestinale,
può permettere l’instaurarsi di una risposta immunitaria verso antigeni alimentari.
Durante il primo anno di vita è fondamentale selezionare al massimo gli alimenti fonte di possibili allergeni con cui il lattante e/o il bambino viene in contatto poiché è in questo periodo che si svolge il delicato processo di maturazione del sistema immunitario; non è quindi opportuno introdurre prodotti o sostanze alimentari non sufficientemente conosciute. Si dovrebbe preservare il bambino dall’assunzione di nuovi prodotti della biotecnologia, possibili allergeni.
Inoltre, nel primo anno di vita, la mucosa intestinale è ancora immatura e incompleta, quindi non del tutto selettiva alle sostanze estranee, permettendo il passaggio in circolo di peptidi integri o parzialmente digeriti, nei cui confronti si sviluppa uno «stato di tolleranza» oppure una reazione allergica vera e propria.
Per mantenere un atteggiamento di totale precauzione, il bambino non dovrebbe consumare OGM dal periodo dell’allattamento fino a tre anni di età. Anche nel periodo della gravidanza e dell’allattamento le madri dovrebbero fare maggiore attenzione a una eventuale contaminazione alimentare da OGM. Tale precauzione è motivata dalle scarse conoscenze in merito al passaggio di peptidi e proteine attraverso la barriera placentare e/o la ghiandola mammaria, che potrebbero essere causa di manifestazioni allergiche. Il periodo dello svezzamento è altrettanto critico, in quanto avvengono i primi contatti con gli alimenti, che devono essere introdotti con gradualità e in piccole dosi, sempre per evitare reazioni abnormi e favorire la costruzione della memoria immunologica nei confronti di alcune molecole. Per tali motivi, l’Unione Europea ha emesso precise direttive (5/96 e 36/98), recepite anche dal nostro paese (D.P.R. 128/99 del 7/4/99), che proibiscono l’utilizzo di OGM per gli alimenti destinati ai lattanti e bambini fino a tre anni di età. Dal 31 ottobre 2001 (Decreto ministeriale – sanità e industria-commercio-artigianato – v. art. 4) è ammessa la presenza di OGM fino all’1 per cento anche nel cibo per lattanti e bambini, in applicazione al regolamento europeo 49/2000.
Anziani. Un deterioramento della funzione immunitaria è invece associato all’invecchiamento [19]. Infatti, con l’avanzare dell’età aumentano il rischio e la gravità delle infezioni, come anche la suscettibilità a certi tipi di malattie autoimmuni [20], [21] mentre diminuisce la risposta alle vaccinazioni [21-22]. Il tratto gastrointestinale nell’anziano è particolarmente suscettibile a infezioni, indice quindi di ridotta immunità mucosale. In effetti, la severità e la mortalità causata da infezioni con patogeni che sono in grado di invadere la superficie mucosale, quali il virus dell’influenza e lo Streptococcus penumoniae, hanno raggiunto una maggiore diffusione con l’aumentare della durata della vita [22-23].
Una caratteristica dell’immunosenescenza è l’involuzione del timo, che inizia nell’infanzia e continua per tutta la vita [24]. Intorno ai quarant’anni di età, il timo ha subito un’involuzione di circa il 90% [21], e ne consegue un diminuito rifornimento di linfociti T periferici da parte delle cellule T native. Studi condotti in individui in età superiore ai settant’anni hanno dimostrato che, contrariamente a quanto si ritenesse, le alterazioni del sistema immunitario associate all’età sono dovute modificazioni di tutti i componenti di tale sistema [16-21].
Per tutte queste ragioni l’età anziana può essere un momento critico nel quale le controindicazioni allo scatenamento di una risposta immunitaria potrebbero avere conseguenze importanti che possono andare oltre le semplici manifestazioni allergiche, aumentata suscettibilità alle infezioni e aumentata incidenza delle malattie autoimmuni. Su questo aspetto le valutazioni rischiano di essere puramente dissertative non essendoci ancora sufficienti dati per comprendere le relazioni tra consumo di alimenti GM e immunosenescenza. Inoltre, l’approccio di salute pubblica a questa problematica è diverso da quello del bambino; infatti mentre è relativamente facile sottoporre a normativa le linee di produzione degli alimenti per bambini è più difficile pensare a una strategia che consenta la protezione di una fascia di popolazione per cui non sono
previsti alimenti specificatamente disegnati.
Conclusioni
Sebbene l’approccio scientifico posto dalla sicurezza d’uso degli alimenti OGM sia andato diversificandosi e migliorando nel corso soprattutto degli ultimi cinque anni, ciò non è bastato a dissipare la diffidenza del consumatore, e nemmeno a dirimere i dubbi di parte della comunità scientifica. Proprio per dissipare questi dubbi e per evitare che si ripetano episodi come quelli della soia ad alto contenuto di metionina o del mais StarLink, è comunque opportuno potenziare la ricerca scientifica in tal senso e raccogliere dati sia sugli effetti positivi che su quelli negativi delle biotecnologie applicate alla alimentazione umana. È in ogni caso necessario mantenere un atteggiamento di grande cautela (principio di precauzione) per cui ogni nuovo alimento transgenico va esaminato con prudenza e sottoposto ad accurate analisi di controllo con la valutazione della potenziale allergenicità. Le organizzazioni internazionali hanno messo a punto una strategia opportuna per tale valutazione: se l’alimento transgenico deriva da una fonte nota per la sua allergenicità devono essere effettuati test in vitro e in vivo su volontari, e solo se questi test risultano negativi i prodotti possono essere messi in commercio. Se anche solo uno di questi test risulta positivo il prodotto transgenico deve essere scartato.
Va detto in conclusione che ci possono essere anche dei vantaggi potenziali dei cibi transgenici nel campo dell’allergia alimentare. In teoria, infatti, le nuove tecnologie di ingegneria genetica potrebbero consentire di eliminare gli allergeni maggiori negli alimenti modificati. Ovviamente, le tecniche di ingegneria genetica potranno consentire di eliminare in vari alimenti (nocciole, pesca, mela, sedano, ecc.) le componenti allergeniche, tanto più che ormai sono stati identificati i determinanti antigenici di molti alimenti, soprattutto vegetali.