Ci sono buone notizie per chi soffre di alopecia areata, una malattia autoimmune che attacca i follicoli piliferi: è stata confermata l’efficacia di due farmaci, già in uso per altre malattie, nello stimolare la ricrescita dei capelli in persone alle prese con questa particolare forma di calvizie. A dimostrarlo sono stati due studi clinici indipendenti pubblicati entrambi sul Journal of Clinical Investigation/Insight.
I due farmaci in questione sono degli inibitori di una famiglia di enzimi, la Janus chinasi (Jak). Uno è il ruxolitinib, che viene utilizzato per il trattamento di tumori maligni del midollo osseo, mentre l’altro è il tofacitinib, che viene usato per l’artrite reumatoide. La loro efficacia rispetto all’alopecia areata era già stata dimostrata da uno studio di un team di ricercatori della Columbia University Medical Center (Cumc), che aveva evidenziato come questi farmaci fossero capaci di risvegliare i follicoli piliferi in stato di quiescenza (i follicoli piliferi non producono i peli di continuo, ma con una periodicità scandita da fasi di crescita e di riposo).
In questo caso, sempre un gruppo di scienziati della Cumc ha testato l’efficacia dello ruxolitinib su 12 pazienti affetti da una forma moderata o severa di alopecia areata. A ognuno sono stati somministrati per via orale 20 mg del farmaco due volte al giorno, per un periodo che andava dai tre ai sei mesi. I partecipanti allo studio poi sono stati seguiti per altri tre mesi per valutare la durata della risposta al trattamento. I risultati hanno mostrato che il 75% dei pazienti ha avuto una ricrescita dei capelli di almeno il 50% e che alla fine del periodo di trattamento nel 77% di coloro che avevano risposto alla terapia la ricrescita è stata di oltre il 95%. Tuttavia, un terzo dei pazienti ha ricominciato a perdere i capelli una volta interrotta la terapia, sebbene la perdita non abbia raggiunto i livelli pre-trattamento. “I nostri risultati suggeriscono che il trattamento iniziale induce un alto tasso di remissioni della malattia in pazienti con forme moderate o severe di alopecia areata, ma può essere necessaria una terapia di mantenimento”, ha sottolineato Julian Mackay-Wiggan, professore associato e direttore dell’unità di ricerca clinica in dermatologia presso la Cumc.
Per quanto riguarda il tofacitinib, invece, un team di ricercatori delle università di Yale e Stanford ne ha testato l’efficacia su 66 soggetti affetti da vari tipi di alopecia areata, somministrandogli 5 mg del farmaco due volte al giorno per tre mesi. In questo caso, i risultati hanno evidenziato una ricrescita dei capelli pari al 50% e anche superiore nel 32% dei pazienti coinvolti nello studio. Tuttavia, dopo circa due settimane dall’interruzione della terapia, tutti i soggetti che avevano sperimentato un miglioramento hanno iniziato di nuovo a perdere i capelli. “Noi riteniamo che la terapia con il tofacitinib per le forme avanzate di alopecia areata rappresenti un importante passo avanti per i pazienti senza alternative”, ha spiegato a Medscape Medical News Anthony E. Oro, professore di dermatologia alla Stanford University e coautore dello studio. “Tuttavia, alla dose e alla durata che abbiamo considerato, l’effetto non è stato duraturo una volta interrotta l’assunzione del farmaco”, ha sottolineato Oro.
Entrambi i farmaci comunque sono stati ben tollerati in tutti i partecipanti agli studi, senza effetti avversi gravi, e i ricercatori rimangono ottimisti sugli sviluppi di queste ricerche. “Insieme, i due studi mostrano che siamo sulla strada giusta”, ha dichiarato Angela M. Christiano, professoressa di dermatologia e di genetica e sviluppo alla Columbia University, nonché coautrice di entrambi gli studi. Il Cumc, inoltre, prevede di testare l’efficacia di questi farmaci anche rispetto ad altre condizioni, come la vitiligine e le atre altre forme di alopecia, come la più diffusa alopecia andregenetica. “Noi ci aspettiamo che gli inibitori della Jak possano essere utili in molte forme di perdita dei capelli – ha spiegato Christiano – in base al loro meccanismo di azione sia sui follicoli piliferi che sulle cellule del sistema immunitario”.
Riferimenti: Jci Insight