Il polmone verde della Terra sta bruciando a un ritmo preoccupante: circa 40 mila incendi dall’inizio dell’anno hanno devastato la foresta amazzonica brasiliana, e la deforestazione avanza al ritmo di 3 campi di calcio al minuto. I dati diffusi dall’Istituto nazionale per la ricerca spaziale del Brasile (Inpe) sono chiari: mostrano un aumento degli incendi in Amazzonia, segnando una inversione di tendenza rispetto alla diminuzione registrata negli ultimi due anni. Un cambio di rotta che coincide con l’avvento delle nuove politiche del presidente Jair Bolsonaro, insediatosi lo scorso gennaio.
Raddoppiati gli incendi
Nei primi 8 mesi dell’anno sono stati quasi 40.000 i roghi nella parte brasiliana della foresta. Particolarmente critica è la situazione negli stati di Amazonas, che ha dichiarato lo stato di emergenza, e di Rondonia. Qui anche il Global Fire Emissions Database ha rilevato un numero di incendi sopra la media. E siamo appena a metà della stagione secca, che va da luglio a ottobre, con un picco nel mese di settembre.
Dall’inizio dell’anno in tutto il Brasile ci sono stati oltre 75.000 incendi, l’83% in più rispetto allo stesso periodo del 2018. Gli scienziati hanno iniziato a prendere nota di questi fenomeni nel 2013, ma non avevano mai registrato così tanti incendi come quest’anno. Ci siamo andati vicini nel 2016, sfiorando i 70.000: ma nei due anni successivi il numero si era quasi dimezzato. Ora torna invece ad aumentare, e anche di parecchio.
Preoccupanti anche i dati sulla deforestazione. Dopo che dal 2004, per 10 anni, si era registrato un calo del fenomeno, è tornata a salire dal 2013 e lo scorso luglio ha toccato un nuovo record, con oltre 1.345 chilometri quadrati di area diboscata, l’equivalente di 3 campi da calcio al minuto.
Fiamme e deforestazione in Amazzonia
La foresta amazzonica, con i suoi 6 milioni di chilometri quadrati, è il “polmone verde” della Terra perché produce il 20% dell’ossigeno nella nostra atmosfera. Ma per molti è solo una risorsa da sfruttare: gli incendi sono spesso appiccati per sgombrare ampi spazi di foresta, vendere il legname, far posto a coltivazioni e pascoli. Deforestazione e incendi, sono quindi collegate.
Per gli ambientalisti la recrudescenza degli incendi nell’Amazzonia brasiliana è una catastrofe annunciata sin dall’elezione del presidente Jair Bolsonaro, che in campagna elettorale aveva promesso un atteggiamento più permissivo nei confronti dello sfruttamento del territorio amazzonico. Appena insediato, lo scorso gennaio, ha ridimensionato i fondi elargiti alle agenzie ambientaliste e diminuito le sanzioni verso le società che operano diboscamento illegale. A causa della sua politica ambientale, Norvegia e Germania hanno deciso di sospendere le donazioni al Fondo Amazzonia per la conservazione della foresta sudamericana.
Con la foresta che brucia e attaccato da più parti Bolsonaro ha deciso di rispondere alle critiche accusando le Ong ambientaliste di appiccare gli incendi di proposito, come strumento di ritorsione. Affermazioni che non hanno mancato di suscitare polemiche, e su cui il presidente ha dovuto fare in parte marcia indietro, ammettendo che erano solo sue congetture.
Ma il dibattito sulla foresta amazzonica rimane aperto. Soprattutto perché Bolsonaro sembra deciso a ignorare gli appelli della comunità scientifica, ribadendo invece la sua posizione: l’Amazzonia va considerata una proprietà del Brasile, e non un patrimonio dell’umanità intera. Un punto di vista che sembra ignorare l’importanza del principale polmone verde del pianeta: la foresta assorbe due miliardi di tonnellate di anidride carbonica l’anno dall’atmosfera, e contribuisce così in modo importante a mitigare l’effetto serra e quindi il riscaldamento globale.