Solo un paziente su dieci, tra coloro che soffrono di disturbi d’ansia, riceve le cure adeguate. È quanto emerge da uno studio internazionale guidato da Jordi Alonso dell’Istituto di ricerca medica dell’Ospedale del Mar (IMIM) a Barcellona che ha coinvolto 21 paesi in tutto il mondo e pubblicato su Depression and Anxiety.
L’ansia è un’emozione naturale e innata nella natura umana. È la normale risposta del nostro organismo che si prepara ad affrontare un eventuale pericolo e di per sé costituisce una condizione positiva che ci consente di proteggerci dai rischi e migliorare le nostre prestazioni. Quando però l’attivazione di questo meccanismo psicologico diventa eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni da affrontare, l’ansia assume una connotazione di disturbo psichico, con conseguenze spesso invalidanti. “I disturbi d’ansia sono patologie che tendono a diventare croniche, spesso comorbili, cioè associate ad altre patologie, e che possono essere causa di disabilità” ha spiegato Jordi Alonso in un comunicato stampa sul sito dell’IMIM. “Se aggiungiamo il fatto che, solo nel 2010, hanno comportato un costo di 74400 milioni di euro in Europa, diventa chiaro che si tratta di un importante problema di salute pubblica” ha aggiunto Alonso.
Alcuni disturbi d’ansia, come le fobie specifiche, il disturbo d’ansia sociale e quello di separazione si sviluppano in età infantile (tra i cinque e i dieci anni) e tendono a persistere quando non curati. Altri, come il disturbo d’ansia generalizzato e il disturbo di panico tendono a comparire più avanti, tra i 24 e i 50 anni. La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) sono i trattamenti più indicati per tali patologie. Eppure in molti casi queste non vengono trattate in modo efficace, anche perché non vengono diagnosticate correttamente. La corretta diagnosi e la scelta del trattamento più adeguato risultano di fondamentale importanza sia per prevenirne la cronicizzazione sia per ridurre la comorbilità con altre malattie fisiche e mentali, come la depressione.
Lo studio condotto dal gruppo guidato da Jordi Alonso ha valutato l’adeguatezza dei trattamenti a livello globale. Allo studio hanno partecipato 51547 individui di 21 paesi, tra paesi ad alto reddito (come Italia, Stati Uniti, Francia, Germania), a reddito medio-alto (come Bulgaria, Messico e Romania) e a reddito basso o medio-basso (tra cui Colombia, Nigeria e Perù).
Ai partecipanti, tutti maggiorenni, è stato chiesto di rispondere ad un’intervista diagnostica elaborata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). I disturbi d’ansia presi in considerazione erano quelli compresi nella quarta edizione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV): l’agorafobia, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo di panico, la fobia sociale, le fobie specifiche, il disturbo d’ansia di separazione negli adulti e il disturbo post-traumatico da stress (che, nell’attuale quinta edizione del manuale DSM-V, non è più incluso tra i disturbi d’ansia ma tra i disturbi correlati a stress e traumi).
I ricercatori hanno stimato, tra gli individui che avevano sofferto di uno di tali disturbi per almeno 12 mesi, la percentuale di individui che aveva percepito un bisogno di cure, quella di coloro che avevano ricevuto un trattamento e, tra questi, la percentuale di individui che avevano ricevuto un trattamento adeguato. Gli autori dello studio hanno poi esaminato l’influenza della comorbilità sulla percezione del bisogno di cure. Ai partecipanti veniva chiesto se nei 12 mesi precedenti avessero sofferto di disturbi d’ansia e, in caso affermativo, se avessero sentito il bisogno di rivolgersi al medico di famiglia, ad altri specialisti della salute mentale (psichiatri, psicologi, psicoterapeuti), a figure esperte di medicina alternativa e complementare (agopuntori, erboristi, chiropratici, ecc.), a gruppi di auto-aiuto o a consiglieri spirituali e quante visite avessero fatto negli ultimi dodici mesi. In base alle risposte ottenute, i ricercatori hanno valutato l’adeguatezza dei trattamenti ricevuti.
La definizione di trattamento adeguato usata nello studio si basa sulle linee guida dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA). Un trattamento farmacologico dei disturbi d’ansia è considerato adeguato se comporta l’assunzione di farmaci idonei per un mese ed almeno quattro visite mediche in un anno. Nel caso si tratti di trattamenti di tipo psicoterapeutico, di medicina complementare e alternativa o di cure non mediche da parte di altri operatori della salute mentale, un trattamento è ritenuto adeguato se prevede almeno otto sessioni nel corso di un anno.
In media il 9,8% dei partecipanti ha dichiarato di aver sperimentato un disturbo d’ansia nei dodici mesi precedenti. Tuttavia la frequenza con cui tali disturbi si presentano varia molto tra i diversi paesi: essi colpiscono il 5,3 % delle popolazioni africane, mentre la percentuale è in media del 10,4 % nei paesi europei ed addirittura del 19,5% negli Stati Uniti. Tra coloro che soffrono d’ansia solo il 27,6% ha dichiarato di aver ricevuto un trattamento di qualche tipo, ma la terapia è risultata adeguata in media solo nel 9,8 % dei casi (con il 13,8% nei paesi ad alto reddito ed il 2,3% nei paesi più poveri).
La bassa percentuale di pazienti che ricevono cure adeguate è dovuta a vari fattori. In molti casi, né il paziente né il sistema sanitario riconoscono la necessità di cure. Infatti, solo il 41,3% delle persone che soffrono d’ansia sono consapevoli del proprio bisogno di cure, e quando l’ansia non è associata ad un altro tipo di disturbo questa percentuale scende al 26,3%. La comorbilità dei disturbi d’ansia con altri disturbi mentali è associata ad una maggiore percezione del bisogno di cure, a causa probabilmente di una maggiore severità dei sintomi. Ma non è solo questo. Infatti solo due terzi (66.8%) degli individui che percepiscono il bisogno di cure ricevono una qualche forma di trattamento (il 46,1% in media nei paesi più poveri e il 75% in media nei paesi ad alto reddito, con l’Italia che raggiunge il 90%). Senza dubbio anche il costo dei trattamenti, le scarse conoscenze, i pregiudizi nei confronti delle malattie mentali e lo stigma percepito da chi soffre di tali disturbi possono contribuire ulteriormente a limitarne la cura.
I risultati di questo studio concordano con quelli di studi analoghi sulla depressione maggiore. La percentuale di persone che percepisce il bisogno di cure nel caso dei disturbi d’ansia (47,1%) però è minore che nel caso della depressione (56,7%); inoltre, è più lungo il tempo che intercorre tra l’inizio del disturbo e la richiesta di cure ed è più bassa la percentuale di persone che riceve un trattamento adeguato (che è pari a 16,5 % nel caso della depressione).
Questi risultati devono essere considerati alla luce di alcuni limiti dello studio. Lo studio si basa sulla classificazione DSM-IV, che include anche il disturbo post-traumatico da stress (PTDS), ed occorrerebbe effettuare una valutazione sulla base della nuova classificazione DSM-V. Inoltre, i risultati si basano sulle risposte dei partecipanti allo studio; tuttavia, l’accuratezza delle risposte fornite può differire tra diversi gruppi sociodemografici e culturali, influenzando il confronto tra paesi diversi. Ed ancora. Le modalità con cui lo studio è stato condotto non hanno consentito un’analisi dettagliata sui trattamenti psicofarmacologici e psicoterapici. La definizione di trattamento adeguato è molto ampia, ma non include specifiche tecniche psicoterapeutiche, come la meditazione mindfulness, portando a sottostimare l’adeguatezza. Inoltre la valutazione delle tecniche di medicina complementare e alternativa in base al solo numero di sessioni potrebbe non essere sufficiente. Per quanto riguarda i trattamenti farmacologici non è stata fatta un’analisi dettagliata dei farmaci utilizzati; l’utilità delle benzodiazepine è stata messa in dubbio e non averle escluse potrebbe aver portato a sovrastimare l’adeguatezza del trattamento farmacologico.
Al di là dei limiti dello studio, il dato preoccupante è la bassa percentuale di adeguati trattamenti dei disturbi d’ansia. Occorre quindi aumentare la consapevolezza dei benefici delle terapie esistenti, favorire l’accesso alle cure, migliorare la diagnosi e la qualità dei trattamenti. “L’alfabetizzazione sanitaria e la consapevolezza dovrebbero essere promosse in particolare in quei paesi in cui il bisogno di cure non è riconosciuto, in genere nei paesi a medio e/o basso reddito, e anche la variabilità associata al livello di reddito di un paese dovrebbe essere ridotta. È importante incoraggiare gli operatori sanitari a seguire le linee guida cliniche per migliorare la qualità del trattamento dei disturbi d’ansia” conclude Jordi Alonso.
Riferimenti: Depression and Anxiety