Un gigantesco blocco di ghiaccio – 5.800 chilometri quadrati per oltre 200 metri di spessore – si è staccato dalla piattaforma Larsen C, in Antartide. Da anni gli scienziati lo tenevano sotto controllo e alla fine, tra il 10 e il 12 luglio scorso, quanto temevano si è verificato.
La notizia del distacco definitivo – avvenuto sulla costa orientale della piattaforma – è stata data inizialmente dai ricercatori del progetto MIDAS, che fa capo alla Swansea University, nel Regno Unito, ed è stata poi confermata dalle immagini provenienti dai satelliti Aqua della Nasa e Sentinel-1 della European Sapace Agency.
Già nel 2014 la crepa si era notevolmente accentuata e lo scorso anno i ricercatori ne avevano monitorato attentamente la continua progressione. Al momento non sono in grado di dire cosa abbia accelerato i tempi di distacco. Sebbene in seguito ai cambiamenti climatici l’Antartide si stia surriscaldando maggiormente rispetto ad altre aree del pianeta, gli scienziati non individuano, al contrario di quanto era avvenuto per Larsen A e, nel 2002, per Larsen B, una chiara correlazione con la frattura di Larsen C.
La formazione di questo gigantesco iceberg, che probabilmente prenderà il nome di A-68, modifica in modo permanente il profilo di Larsen C, la più meridionale delle quattro piattaforme nominate A, B,C e D – la prima si è completamente disintegrata nel 1995, la seconda è parzialmente crollata nel 2002 e l’ultima viene ritenuta al momento piuttosto stabile – riducendone la superficie approssimativamente del 10%. Un suo eventuale scioglimento non dovrebbe invece comportare un aumento del livello dei mari.
Ora tutti si chiedono cosa succederà e come si comporterà il neonato iceberg: se rimarrà esattamente dov’è o se viaggerà verso le più calde acque del Nord. Le correnti intorno all’Antartide, infatti, determinano generalmente il movimento di simili blocchi di ghiaccio, come fu per Larsen A e B. Il National Ice Center americano ne terrà quindi sotto controllo l’evoluzione, così da stimare l’eventuale traiettoria.
Riferimento: Nasa Earth Observatory