(UniPd) – L’Antartide è il più grande laboratorio a cielo aperto del nostro pianeta, un continente coperto di ghiacci, unico per le sue caratteristiche geografiche e geologiche dove l’unica attività concessa all’uomo è la ricerca scientifica. Le immense calotte glaciali raccontano il clima del passato, ma i misteri dell’Antartide non sono solo i suoi ghiacciai: una lunga catena montuosa lo attraversa, con cime che superano l’altezza del Monte Bianco, ma che a differenza delle nostre Alpi, non si forma per lo scontro tra due continenti ma, al contrario, dal loro separarsi.
È proprio per studiare queste montagne che Valerio Olivetti, ricercatore al Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, parteciperà alla XXXIII spedizione Italiana in Antartide dove trascorrerà un mese nella base scientifica italiana “Mario Zucchelli”. Olivetti è infatti il coordinatore di un progetto di ricerca geologica finanziato dal PNRA, il programma italiano che gestisce e promuove la ricerca scientifica nel continente antartico. La ricerca analizzerà la formazione delle montagne che attraversano l’Antartide per capire i meccanismi che agiscono nella profondità della litosfera terrestre e che hanno portato al sollevamento di queste montagne.
Valerio Olivetti, in Antartide, ha effettuato ricerche già due volte. È un esperto di termocronologia, un metodo di analisi che consente di determinare la velocità di erosione delle montagne e datare il loro sollevamento. Questa tecnica sfrutta la proprietà di alcuni minerali – le apatiti – di registrare come un orologio il tempo che passa durante il loro viaggio dalle profondità della crosta terrestre fino in superficie. Al Dipartimento di Geoscienze dell’Università esiste uno dei più sofisticati laboratori di termocronologia in Italia ed è qui che verranno analizzati i campioni prelevati in Antartide. Il progetto di ricerca in Antartide nasce dalla collaborazione dell’Università di Padova con l’Università di Roma Tre e quella di Siena cui si aggiungono partner internazionali, in particolar modo americani e francesi.
“Siamo abituati a studiare a scuola – dice Olivetti – che le montagne si formano perché i continenti si scontrano. Invece ci sono alcune montagne, come in Antartide, che si formano dove i continenti si estendono e si allontanano. Quello che succede sotto ai nostri piedi, dentro uno spessore di 100 km del nostro pianeta è molto poco conosciuto, quello che accade in superficie – il sollevamento delle montagne e terremoti ad esempio – è il risultato di complessi processi profondi che agiscono nella crosta e nel mantello che però non è possibili studiare direttamente. Noi studiamo l’evoluzione della superficie per capire quello che succede in profondità. E lo facciamo – continua Olivetti – attraverso la termocronologia, una tecnica che ci consente di datare quando le montagne si sono sollevate, a che velocità e quando sono avvenuti grandi terremoti. Grazie alla rete di collaborazioni siamo in grado di effettuare delle analisi molto sofisticate che non sono mai state fatte in Antartide e che ci consentiranno di datare non solo il sollevamento delle montagne dell’Antartide, ma anche quando è avvenuta la loro deformazione fragile, i terremoti per semplificare. Lo sviluppo di queste nuove tecniche» conclude il ricercatore «potrà essere utilizzata anche in altri luoghi del nostro pianeta meno remoti per studiare gli antichi terremoti del passato, lontano milioni di anni e aprire un piccola finestra per guardare che succede dentro al nostro pianeta”.