Una metafora sportiva conclude il viaggio nell’Antropocene che ha portato i lettori a prendere coscienza su quello che accade in spazi lontani dalla nostra esperienza e potrebbe accadere in un futuro prevedibile. Cambiare direzione, saper tornare indietro, lottare insieme sono infatti le caratteristiche del rugby. Tanto che anche dopo la lettura di questo libro si sente il bisogno di un “terzo tempo” per confrontarsi con le idee degli autori, per approfondire insieme i punti più importanti. A distanza, molte delle domande stimolate dalla lettura perdono di immediatezza e di vivacità: ma sarebbero tante, soprattutto quelle per Mauro Varotto che, insieme a Telmo Pievani e a Francesco Ferrante, ci ha accompagnato con la sua competenza di geografo a conoscere un po’ meglio il mondo in cui viviamo.
Il pretesto di questo giro del mondo è un viaggio nell’Antropocene, immaginato nel 2872 e guidato da un paleoantropologo che ricorda la figura di Ian Tattersall. Attraversando i continenti, si ripercorrono le tracce lasciate dai nostri progenitori nella progressiva colonizzazione del pianeta. Pievani, autore della parte romanzesca del libro, organizza il suo racconto sulla falsariga di quello compiuto un migliaio di anni prima dall’avventuroso Phileas Fogg e descritto da Jules Verne. I “buoni”, istruiti nel corso del viaggio dall’antropologo evoluzionista, inseguono un gruppo di “cattivi”, prepotenti sostenitori di fake news. Ci si immaginerebbero grandi cambiamenti avvenuti in questo millennio, tuttavia il racconto si limita a facili allusioni su personaggi e situazioni attuali. Chi mai potrà nascondersi sotto il nome di Tronald Duck, finanziatore della spedizione di terrapiattisti interessati a trovare la fine del mondo? E sempre con un occhio metaforico sull’oggi, è ovvio che i viaggiatori “buoni” giungano in un paese dove tutto funziona con il fotovoltaico, l’eolico, il geotermico, l’idroelettrico e l’energia delle maree, mentre la spedizione dei “cattivi” si conclude con l’annegamento dei quattro giudici conservatori antiabortisti che ne avevano preso parte.
Nei capitoli e nelle mappe che rappresentano situazioni attuali e immaginano il futuro dei diversi continenti, vengono descritti i rischi ambientali che inevitabilmente comportano miseria, prevaricazione, sfruttamento e impossibilità di vita dignitosa; molte sono veramente poco conosciute ma le competenze geografiche, spiega Varotto, educano a scoprire e a leggere le dimensioni invisibili soggiacenti a quanto è rappresentato graficamente. Le nuove consapevolezze ci invitano incessantemente a porsi in viaggio per mari aperti, abbandonando confortevoli sicurezze. Infatti è importante riuscire per lo meno a immaginare come sono correlate e reciprocamente dipendenti le variazioni climatiche, il riscaldamento e il lentissimo raffreddamento degli oceani, i cambiamenti di salinità e di acidità delle acque, le desertificazioni e i cambiamenti nella qualità dei suoli, l’alleggerimento dei continenti dovuto allo scioglimento dei ghiacci, l’immersione di vaste zone delle piattaforme continentali, l’estinzione di specie attuali e il sopraggiungere predominante di altre. Proprio per visualizzare meglio situazioni che potranno verificarsi in tempi non lontani, le mappe dei vari continenti elaborate da Ferrarese sono particolarmente curate e, nelle ultime pagine del libro, sono spiegati con competenza i criteri con cui sono state costruite.
Dal punto di vista antropologico, rendersi conto di come le migrazioni, gli stanziamenti, le fughe, le sopraffazioni, i predomini di una popolazione su un’altra hanno da sempre fatto parte della nostra storia aiuta a collocarci in una dimensione temporale meno ristretta, proprio come una complessa dimensione geografica arricchisce la nostra consapevolezza spaziale. Fin da tempi antichissimi i popoli si sono spostati, si sono divisi in gruppi, si sonno sparpagliati su nuovi territori, sono rimasti isolati, si sono meticciati. Se i gruppi si separano, i loro DNA accumulano mutazioni diverse, aprono nuove possibilità di esistenza. Al tempo stesso, le parole dei loro linguaggi cambiano, e si adattano a descrivere nuove situazioni, nuove esperienze. Così in tempi lunghissimi da un ceppo originario si diversificano popoli e culture che permettono lo sviluppo di nuovi rami, di nuove forme umane, biologiche e culturali che si sono stabilite (temporaneamente) nelle varie zone del pianeta, pronte a nuove migrazioni, a nuovi incroci.
Per capire, servono anche dati attendibili, statistiche e analisi degli andamenti temporali dei fenomeni. Per esempio i dati sulla deforestazione avvenuta negli ultimi cinquanta anni fanno immaginare quanto sia lungo il tempo necessario non tanto per ripiantare gli alberi quanto per farli crescere e per farli sviluppare a maturità, in modo che assumano un ruolo biologico importante nel sistema in cui sono stati introdotti.
Non poteva mancare un capitolo sulla quantità di rifiuti di tutti i tipi che ciascuno produce vivendo, dai rifiuti tecnologici ancora ricchi di metalli preziosi alle semplici plastiche, o ai rifiuti quotidiani.
Un commento su quanto una complessa visione geografica del mondo può insegnarci conclude il volume. La parola mondo, locus mundus, rimanda ad una visione chiara, pulita, illuminata del nostro intorno; il termine inglese world richiama il lungo periodo di tempo in cui l’uomo è stato culturalmente presente, il termine Earth ci identifica nello spazio del sistema solare. E, secondo Bachelard, il continuo dialogo tra Mondo e Terra ci ricorda che “la casa è il luogo in cui abitare l’universo e deve permettere all’universo di venire ad abitare la casa”.