Api detective, missione possibile

Abbandonate l’idea di investigatori con cappello, impermeabile e sigaretta. I detective possono avere un corpo a strisce, sei gambe e volare di fiore in fiore. Le api, infatti, dopo circa quattromila anni in cui è stato loro assegnato il ruolo esclusivo di produttrici di miele, vengono ora utilizzate con successo in varie metodologie scientifiche di investigazione ambientale. L’idea che sta alla base è di sfruttare l’eccezionale mobilità sul territorio delle bottinatrici (le api operaie più anziane) che, nella struttura funzionale dell’alveare, sono incaricate della raccolta delle risorse nell’ambiente. Esse, infatti, prelevano acqua da fossi, fiumi, pozzanghere, succhiano il nettare dei fiori, raccolgono la rugiada mattiniera, il polline, la melata prodotta dagli afidi e fanno incetta di propoli sulle gemme degli alberi per foraggiare la comunità delle sostanze necessarie al suo metabolismo interno.

Si calcola che le api bottinatrici di una famiglia di medie dimensioni, come inconsapevoli sonde mobili, possano effettuare circa dieci milioni di microprelievi di materiale, successivamente stoccato in un unico punto controllabile: l’alveare. Le api, quindi, possono darci innumerevoli informazioni, altrimenti non rilevabili. Lo scienziato che per primo utilizzò in tal maniera colonie di api, è il poco noto Jaroslav Svoboda, dell’Istituto per le Ricerche in Apicoltura di Libice, nell’attuale Repubblica Ceca. Fu lui che a metà degli anni Trenta cercò di valutare il grado di inquinamento da arsenico prodotto da grandi centri industriali, studiando la captazione di pulviscolo atmosferico da parte degli insetti. Questa linea di ricerca è giunta con successo fino ai nostri giorni e “centraline biologiche” composte da alveari sono posizionate su edifici cittadini, in prossimità di discariche e complessi industriali o nelle vicinanze di grandi arterie stradali. La capacità di rilevamento di metalli così ottenuta ha addirittura convinto alcune grandi compagnie minerarie inglesi a utilizzare le api come piccoli pionieri alla ricerca di giacimenti di oro, zinco, rame e manganese.

Un altro tipo d’indagine, che ha visto un improvviso fiorire di sperimentazioni dopo l’incidente di Chernobyl, permette di quantificare il livello di contaminazione radioattiva nelle api e nei materiali a loro affini (miele, polline, ecc.) con grande sensibilità. Nel 1998, per esempio, una rete di monitoraggio biologico posta nelle campagne bolognesi rilevò un’anomala e inspiegabile concentrazione di cesio-137. Qualche giorno più tardi, i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia di una combustione incidentale di materiale radioattivo sanitario in un inceneritore di Algeciras, in Andalusia. La nube radioattiva aveva investito gran parte dell’Europa, nell’omertà dei molti responsabili. Le api, in questo caso, hanno fornito una “soffiata” che ha anticipato di molto la stampa ufficiale. Lo studio sulla captazione di materiali da parte di questi imenotteri non si limita solo a nuclei radioattivi o contaminanti urbani e industriali, ma coinvolge anche le sostanze chimiche utilizzate in agricoltura convenzionale, nei confronti delle quali l’ape è spesso sensibilissima.

La valutazione della mortalità degli alveari, insieme al riconoscimento delle molecole responsabili che l’hanno causata, permette di stimare il grado di sostenibilità dell’agricoltura. Un ecosistema agricolo con forte pressione chimica e che non permette la sopravvivenza delle api scardina, infatti, i meccanismi di riproduzione di numerosissime specie coltivate e, in buona sostanza, si autocondanna al suicidio. Le api, in questo caso, si pronunciano sulla bontà delle pratiche agricole applicate. Molto recentemente, con sperimentazioni al limite della fantascienza, le api sono state anche assoldate dal governo degli Stati Uniti d’America. Gli entomologi dell’Università del Montana con i chimici del Sandia National Laboratories, che lavorano per il Dipartimento dell’Energia statunitense, stanno cercando di addestrare delle bottinatrici ad andare su piante cresciute su terreni ricchi di Tnt. In tal modo le api visiterebbero spontaneamente zone in cui siano state sotterrate mine anti-uomo. Dei mini-diodi applicati al corpo delle api potrebbero permettere di seguire, con un sistema radar, i movimenti degli insetti in maniera tale da identificare con sicurezza le zone di rischio. Il programma scientifico ha avuto forti critiche da parecchie formazioni animaliste. L’Animal Protection Institute, tramite un portavoce, ha ribadito che le api non sono cittadini statunitensi e quindi non debbono prestare nessun tipo di servizio militare.

Oltre alle api, sono molti altri gli organismi utilizzati come biomonitori ambientali. Un giornata di conoscenza e formazione sull’argomento, dal titolo “Indicatori biologici: Applicazione, Informazione, Ricerca” è organizzata dal Comune di Cesena e dalla Provincia di Forlì-Cesena, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente il prossimo 18 maggio. (Sala Convegni Amga, Via A. Spinelli 60, Cesena).

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