Un occhio che si costruisce da sé senza aver bisogno di nulla salvo che della materia prima, cioè di cellule indifferenziate. Non è fantascienza ma scienza, perché per la prima volta si è riusciti a osservare in laboratorio le prime fasi dello sviluppo dell’occhio di un topo: da un’aggregazione informe di cellule indifferenziate sino all’ordinata struttura della retina. La cosa sorprendente è che le immagini non vengono da un embrione che si sta formando, ma da coltivazioni di cellule staminali.
Sino a oggi, nei laboratori di medici e biologi si coltivavano le staminali con l’obiettivo di ottenere linee di cellule specializzate da trapiantare per scopi terapeutici. Ma l’idea di creare veri e propri organi non era mai passata di mente ai ricercatori, spaventati dalla complessità dei processi che si ipotizzavano controllare la formazione degli organi. In un nuovo studio pubblicato su Nature, ricercatori del Riken Center for Developmental Biology e della Kyoto University Graduate School of Medicine, in Giappone, hanno dimostrato che l’occhio dei mammiferi può auto-assemblarsi in una struttura tridimensionale funzionale senza aver bisogno di segnali provenienti da altri tessuti. In verità, che un organo potesse svilupparsi senza la necessità di un’induzione chimica esterna era un’ipotesi già contemplata da alcuni scienziati, primo tra tutti il padre dell’embriologia sperimentale e premio Nobel nel 1935 Hans Spemann. Oggi, questa ipotesi è diventata realtà grazie al lavoro dei ricercatori giapponesi, che hanno seguito passo dopo passo gli stadi di formazione della retina.
La retina è una struttura di derivazione nervosa. È costituita da coni e bastoncelli, fotorecettori che hanno il compito di trasformare gli stimoli luminosi negli impulsi nervosi che arriveranno al cervello per essere elaborati in immagini. Per osservare in laboratorio i complessi di formazione di questa struttura, i ricercatori hanno messo in alcune piastrine gruppi di cellule staminali assieme a una matrice (un mezzo dove farle riprodurre e differenziare) costituita da componenti biologici extra-cellulari. Questa tecnica di coltura è stata la chiave del successo: in 7 giorni le cellule si sono differenziate in tessuto epiteliale; il giorno successivo si è iniziata a formare la struttura di origine della retina e il decimo giorno è apparsa le parete del cosiddetto calice ottico, da cui la retina si sarebbe formata definitivamente. La prova che le strutture così ottenute erano realmente funzionali l’ha offerta la genetica. Analizzando le cellule all’ultimo stadio di differenziazione, infatti, sono stati individuati i geni normalmente espressi in una cellula fotorecettrice. Utilizzando simulazioni computerizzate, poi, i ricercatori hanno scoperto che a guidare l’assemblamento dell’occhio sono forze meccaniche che modificano forma e disposizione delle cellule. Ma ancora non sono del tutto chiari i meccanismi molecolari coinvolti.
Nonostante ciò, i ricercatori sono entusiasti.
“Ciò che abbiamo risolve una questione vecchia di un secolo in embriologia”, ha detto Yoshiki Sasai. “Abbiamo dimostrato che le cellule precursori della retina hanno l’abilità intrinseca di generare la complessa struttura del calice ottico. È eccitante pensare che ora siamo più vicini alla possibilità di poter ricreare in laboratorio veri e propri organi. È un punto di svolta per la medicina rigenerativa”. Se è possibile coltivare occhi in laboratorio, in teoria, partendo dalle proprie cellule staminali ognuno potrebbe avere la personale riserva di organi da cui prendere cellule da trapiantare nel caso di gravi malattie.
Riferimenti: wired.it