L’idea di dare vita a una razza superiore, a individui programmati per essere migliori o per adempiere a determinati compiti è solo lo spunto per una trama fantascientifica alla Gattaca o sarà davvero possibile in futuro creare in laboratorio esseri umani più sani, più forti, più intelligenti?
I recenti progressi della scienza nel campo dell’editing genomico rendono la domanda sempre meno assurda. È la stessa comunità scientifica internazionale a interrogarsi. E la risposta non è banale. È di ieri infatti la notizia della pubblicazione del rapporto Human genome editing: Science, Ethics and Governance, della National Academy of Sciences (Nas) e della National Academy of Medicine (Nam) statunitensi. Frutto di un anno di lavoro, il documento ribadisce le raccomandazioni scientifiche, i risvolti etici e politici che gli interventi sul dna delle cellule germinali, se messi in pratica, porterebbero. Eppure il report non sbarra completamente la strada a simili applicazioni.
In gergo tecnico con il termine gene editing si indicano le attività e le tecnologie con cui è possibile intervenire sul dna modificandolo.
Il gene editing non è una novità in senso stretto: da diverso tempo ormai gli scienziati possono modificare in laboratorio il patrimonio genetico delle cellule con sistemi di taglia e cuci, con applicazioni che hanno avuto un grosso impatto in diversi ambiti.
Ciò che ha spinto il team interdisciplinare di esperti a confrontarsi per oltre un anno per redigere il report è il boom che l’editing genomico sta vivendo da quattro anni a questa parte, da quando cioè è stato scoperto il sistema batterico Crispr-Cas9. In natura Crispr-Cas9 è una sorta di sistema immunitario dei batteri: quando un virus entra in una cellula batterica e unisce il proprio dna con quello della cellula ospite, il sistema Crispr-Cas9 riconosce il dna virale e lo taglia via, impedendogli di replicarsi a spese del batterio.
A partire dal 2012, grazie all’ingegnerizzazione del sistema da parte degli scienziati dello Howard Hughes Medical Institute alla University of California, Crispr-Cas9 è diventata una delle tecniche di editing del dna più efficienti, efficaci e sicure mai sviluppate.
Il fatto che Crispr-Cas9 sia una tecnica duttile, facile da usare in laboratorio e oltretutto economica ha determinato la sua velocissima diffusione e applicazione nei laboratori di tutto il mondo. Ne è prova che siano già partiti alcuni trial clinici sull’uomo che utilizzano Crispr-cas9, come quello dell’oncologo Lu You dell’Università di Pechino che sta sperimentando un’immunoterapia per rendere il sistema immunitario dei pazienti più efficacie nella lotta contro il tumore al polmone, modificando in laboratorio il dna dei linfociti T.
Finora gli studi sull’uomo si sono limitati a verificare la sicurezza e la tollerabilità della tecnica nelle cellule somatiche, cioè le cellule differenziate dei tessuti. Dal punto di vista scientifico modificare il dna delle cellule somatiche comporta cambiare le caratteristiche solo di quelle cellule, non dell’intero organismo e, cosa importante, questi cambiamenti non sono ereditabili dalle generazioni successive.
Cosa succederebbe se, invece, si intervenisse sulle cellule germinali umane, ossia su ovuli e spermatozoi? E sugli embrioni nelle prime fasi di sviluppo? Le modifiche in questo caso avrebbero effetto sulla progenie di un individuo e su un intero nuovo organismo, che a sua volta le trasmetterebbe ai suoi figli.
A livello teorico questo è già possibile, dicono gli esperti, ma nella pratica si è ben lontani dagli standard di efficacia e sicurezza per poter dire che sia realizzabile.
Per questo nel rapporto si raccomanda la comunità scientifica internazionale di attenersi ai principi etici e ai percorsi regolatori già disponibili e implementati per lo sviluppo della terapia genica e limitare le applicazioni dell’editing genomico a quei casi in cui non vi sia alternativa possibile.
Il team di esperti non esclude a priori la possibilità di intervento anche sulle cellule germinali umane perché rappresenta a livello oggettivo un’opportunità concreta per i portatori di difetti genetici di avere figli biologici sani. Tuttavia ricorda come negli Stati Uniti e in diversi Paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, vigano politiche di regolamentazione della ricerca sulle linee germinali molto stringenti.
Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica e unico italiano presente della commissione di esperti che ha redatto il rapporto, ha affermato “Queste raccomandazioni, formalmente dirette ai Paesi che hanno sponsorizzato lo studio, ovvero Stati Uniti e Regno Unito sono in realtà rivolte a tutti, almeno nella impostazione generale: illustrano una prudente roadmap per lo sviluppo delle applicazioni del gene editing in campo biomedico, indicando meccanismi appropriati di sorveglianza e di coinvolgimento della società nel senso più ampio del termine, che possano guidare gli eventuali futuri primi passi verso interventi controversi come la modificazione della linea germinale e il potenziamento di alcune caratteristiche della specie umana”.
Via: Wired.it