L’arte come terapia, certo, ma anche come strumento di prevenzione delle malattie croniche, per affrontare tumori, operazioni chirurgiche. E ancora, come esercizio per affinare le capacità diagnostiche dei medici, renderli più resilienti ed empatici nella relazione con il paziente. Negli ultimi anni le esperienze che fanno incontrare la medicina e l’arte – nella sua accezione più ampia, dalla letteratura alla pittura, alla musica e al cinema – hanno visto un vero e proprio boom. Tanto da suscitare l’attenzione dell’Organizzazione mondiale della sanità, che il prossimo maggio lancerà il primo Health for All Film Festival. Perché, come afferma un recente rapporto Oms, non si tratta solo di una moda: funziona. Gli autori del documento hanno analizzato migliaia di ricerche scientifiche effettuate negli ultimi decenni, arrivano a una conclusione chiara: che si tratti di danza, pittura, teatro o letteratura, l’arte può giocare un ruolo fondamentale per difendere la nostra salute. E visto che si tratta di interventi non invasivi, efficaci e poco dispendiosi, potrebbe fornire un contributo anche alla agognata sostenibilità dei servizi sanitari.
Arte e salute in Europa
In Europa paesi come il Regno Unito, l’Irlanda, la Finlandia, Svezia e Norvegia, hanno già adottato strategie per promuovere lo studio e l’utilizzo delle arti come risorsa per la salute. Quel che manca però – scrivono gli autori del rapporto – è una prospettiva transnazionale: una strategia europea per l’inclusione dell’arte nel mondo della salute. Per questo servono conferme della sua efficacia. Gli epidemiologi Daisy Francourt e Saoirse Finn dello University College di Londra hanno quindi effettuato la più esaustiva panoramica della letteratura scientifica sul tema mai realizzata analizzando 900 pubblicazioni scientifiche e revisioni sistematiche, per un totale di oltre 3mila ricerche in lingua inglese e russa. Risultato: l’utilità dell’arte in medicina è promossa a pieni voti.
L’arte come terapia funziona e costa poco
La letteratura scientifica dimostra che l’arte è uno strumento utile per promuovere la salute e prevenire le malattie, migliorare la qualità di vita di pazienti che soffrono di patologie gravi come tumori, diabete, disturbi neurologici. L’utilizzo della musica nella gestione dell’Hiv, per esempio, migliora l’aderenza alle terapie e diminuisce, di conseguenza, il carico virale dei pazienti.
Ma le applicazioni di successo sono tantissime: dal supporto a persone con malattie psichiatriche, ai ricoverati in ospedale per malattie acute, ai pazienti oncologici, alle cure palliative e al fine vita. La musica, per esempio, si è rivelata più efficace degli ansiolitici nel ridurre il battito cardiaco e la pressione sanguigna prima di un intervento chirurgico. O ancora, nella riabilitazione di pazienti colpiti da un ictus l’ascolto della musica favorisce lo sviluppo di nuove connessioni neurali e migliora la plasticità cerebrale, velocizzando così il recupero di capacità linguistiche e motorie, e riducendo ansia e depressione.
In molti casi, – scrivono Francourt e Finn – si tratta di interventi che richiedono investimenti contenuti e per questo meriterebbero più spazio sia nella pianificazione sanitaria sia nella formazione dei medici.
Medici al museo
“In Italia si parla molto di arte terapia, mentre il potenziale dell’arte e delle medical humanities per la formazione dei medici è ancora poco esplorato”, racconta Vincenza Ferrara, Responsabile del Laboratorio Arte e Medical Humanities dell’Università Sapienza di Roma. “Si tratta invece di risorse preziosissime per gli operatori sanitari: attraverso l’arte è possibile affinare le capacità diagnostiche dei medici, le capacità comunicative e di ascolto dei pazienti, rinforzare la resilienza contro il burnout lavorativo”.
Alla Sapienza Ferrara lavora con la Visual Thinking Strategies, un approccio che punta a migliorare le capacità di pensiero creativo, analisi, problem solving e comunicazione. Sviluppato negli Usa dalla psicologa cognitivista Abigail Housen e da Philip Yanewine, esperto di didattica che ha lavorato per anni al MOMA di New York, le VTL sono applicate dal 2003 ad Harvard nell’ambito della pedagogia medica.
Guidati da un facilitatore, i partecipanti al seminario sono chiamati a descrivere il contenuto di un quadro, e poi a discutere con gli altri le proprie ipotesi. Imparano così a lavorare in gruppo e a rispettare le opinioni altrui, affinano le loro capacità di analisi, e allenano il pensiero divergente, imparando a lavorare su più ipotesi seguendo quella che si rivela più supportata dai dati a disposizione. “Lavorando con gli studenti inseriamo anche delle immagini cliniche nel corso del seminario, e abbiamo notato che dopo aver lavorato sulle opere d’arte le loro capacità diagnostiche risultano migliorate”, conclude Ferrara. “Abbiamo anche realizzato una piccola indagine sul burnout tra medici e infermieri, e i risultati indicano che dopo aver seguito il corso i loro livelli di stress diminuiscono sensibilmente”.
Via: Omni News
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