Quasi il 2% degli attrezzi da pesca ogni anno finisce nei mari: persi o abbandonati, chissà per quanto. Le stime arrivano da uno studio, pubblicato su Science Advances, in cui alcuni ricercatori australiani guidati da Kelsey Richardson hanno intervistato i pescatori di sette paesi per avere una stima globale ed aggiornata sulla quantità di attrezzi da pesca abbandonati, persi o scartati (ALDFG, acronimo di Abandoned, lost, or otherwise discarded fishing gear) negli oceani. E hanno elaborato delle stime globali per la pesca fantasma, come viene definita dalla Food and Agricolture Organization (FAO), una delle principali fonti di inquinamento negli oceani con impatto sulla vita marina.
La pesca: una minaccia sempre maggiore per i mari
La produttività degli oceani continua a calare, l’incremento della pesca con pratiche industriali e insostenibili sta portando al collasso le riserve ittiche e distruggendo gli habitat marini. La pesca moderna si avvale di tecniche sempre più sofisticate volte a massimizzare i profitti e le flotte commerciali hanno cominciato a cercare più in profondità negli oceani innescando una reazione a catena che sta sconvolgendo l’equilibrio del sistema marino. A questo si aggiunge il problema degli ALDFG, che secondo la FAO e United Nations Environment Program (UNEP) costituiscono circa un decimo di tutti i rifiuti oceanici.
Gli ALDFG sono fonte di pericolo e rappresentano un agente fortemente inquinante dal momento che rimangono nell’ecosistema per centinaia di anni continuando a pescare e ad alterare i fondali marini. Possono inoltre creare problemi alla navigazione quando le reti fantasma rimangono impigliate nelle eliche delle imbarcazioni, portando nei casi peggiori al loro capovolgimento. Le organizzazioni internazionali hanno sviluppato una serie di misure di legge per ridurre l’ALDFG, regolamentare le pratiche di pesca distruttiva, minimizzare gli eventi di inquinamento e migliorare negli impianti portuali la raccolta degli attrezzi fuori uso.
Ma mancano stime globali aggiornate che riflettano lo stato attuale degli oceani e consentano di trovare soluzioni mirate su larga scala. Per colmare questa lacuna i ricercatori hanno intervistato 451 pescatori in sette paesi diversi (Africa, Asia, Caraibi, Europa, Nord America, Oceania e Sud America) sull’utilizzo e le perdite annuali degli attrezzi. In particolare hanno raccolto informazioni relative a cinque tipologie di strumenti: reti da imbrocco, ciancioli, reti a strascico, palangari, nasse e tonnare. I tassi di perdita segnalati dai pescatori, scrivono gli autori, sono stati poi moltiplicati tenendo conto dei dati di pesca globali, considerando che le perdite sono influenzate dalle dimensioni delle navi. In questo modo è stato possibile stimare i tassi globali di perdita degli attrezzi da pesca.
Quasi il 2% dell’attrezzatura finisce in mare ogni anno
Dai dati segnalati dai pescatori risulta un tasso medio annuo globale di perdita dell’1,82%. In proporzione sono i pescherecci più piccoli quelli che perdono più attrezzi, probabilmente perché, spiegano i ricercatori, le imbarcazioni più grandi dispongono di attrezzi di qualità superiore e tecnologie più avanzate per la pesca e la navigazione. Per quanto riguarda invece i palangari, le perdite maggiori si riscontrano nelle navi da pesca più grandi.
Analisi precedenti avevano già messo in relazione i tassi di perdita con le variabili operative dei vari attrezzi, e anche in questo studio, per quanto riguarda le reti a strascico, le perdite più elevate si registrano tra quelle che entrano in contatto con il fondo rispetto a quelle che operano a mezz’acqua. I risultati si traducono in 2.963 km2 di reti da posta, 75.049 km2 di ciancioli, 218 km2 di reti a strascico, 739.583 km di palangari e oltre 25 milioni di nasse e trappole.
Meno reti in mare (forse)
Le percentuali di perdita segnalate dai pescatori per tutti gli attrezzi e in tutti i paesi sono complessivamente inferiori rispetto a quelle stimate da una meta-analisi del 2019. E’ possibile che questo rifletta un miglioramento nella qualità degli attrezzi e delle tecnologie dei pescherecci ma anche un miglioramento nella gestione del problema degli ALDFG. Questo studio è ad oggi l’esame più completo e contemporaneo delle quantità di ALDFG a livello globale. Per gli scienziati i dati raccolti saranno utili a pescatori, dirigenti, responsabili politici, ONG e ricercatori per avere una visione aggiornata sui rischi degli attrezzi da pesca fantasma, oltre ad aiutare la ricerca a quantificare l’impatto che le perdite hanno sulla fauna marina, sulla salute degli ecosistemi, sulle specie minacciate e migratorie in aree ad alta attività di pesca.
Tuttavia, riconoscono gli stessi autori, ci sono ancora importanti lacune che devono essere colmate. Questo lavoro ha stimato infatti le perdite provenienti principalmente dalla pesca commerciale, ma mancano dati relativi all’impatto causato dalla pesca artigianale e ricreativa, dalla pesca illegale, dagli attrezzi comunemente utilizzati in tutto il mondo e dall’acquacoltura.
Riferimenti: Science Advances
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