(Università di Verona) – Il fumo è la prima causa di mortalità evitabile nel mondo, eppure aumentano i giovanissimi fumatori, tra gli 11 e 15 anni, in Europa ed è a livelli elevati, fermo agli anni Novanta, il numero di nuovi fumatori tra i 16 e i 20 anni in Italia e nel Sud Europa. Dati che allarmano gli scienziati, che ipotizzano che il danno da fumo possa tramandarsi alle future generazioni come alterazione epigenetica. È quanto emerge da due studi condotti da scienziati dell’università di Verona al lavoro nella sezione di Epidemiologia e statistica medica del dipartimento di Diagnostica e Sanità pubblica.
I dati emergono dalla ricerca Alec, che coinvolge 11 unità di ricerca in Europa e Australia ed è finanziata dall’Europa attraverso Horizon 2020, coordinata da Deborah Jarvis del National heart and lung institute dell’Imperial College of London. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE.
“Abbiamo ricostruito la storia di esposizione al fumo di 120 mila cittadini residenti in 17 Paesi europei – spiega Alessandro Marcon, docente di Epidemiologia e Statistica medica e primo autore di questo lavoro – per valutare i trend temporali nell’incidenza di nuovi fumatori in un periodo di 40 anni. L’obiettivo del progetto Alec è studiare i fattori di rischio delle malattie respiratorie, con particolare attenzione alle esposizioni, come quella al fumo, i cui effetti avversi potrebbero coinvolgere le generazioni successive, e valutare il potenziale impatto degli interventi di salute pubblica mirati a contrastarli”.
La ricerca è stata condotta analizzando congiuntamente i dati di sei indagini epidemiologiche nazionali e internazionali, ottenendo delle valutazioni separate per quattro regioni geografiche cioè Nord, Sud, Est e Ovest Europa. “Il risultato più preoccupante dello studio riguarda i giovanissimi e il loro rapporto con il fumo. Nella fascia 11-15 anni si è osservato un aumento dei nuovi fumatori dal 1990 in poi, con tassi che nell’Europa dell’Ovest (Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi e Svizzera) hanno raggiunto i 40 nuovi fumatori ogni 1000 giovani per anno e circa 30 per 1000 l’anno in Europa del Sud (Italia, Spagna e Portogallo). Inoltre, nella fascia di età tra i 16 e i 20 anni, la proporzione di giovani che iniziano a fumare è diminuita in modo rilevante dal 1970 in poi, ma nell’Europa del Sud, Spagna, Italia e Portogallo, l’incidenza di nuovi fumatori in questa fascia di età è rimasta stabile dal 1990 in poi, attestandosi a livelli molto elevati, cioè tra i 60 e gli 80 nuovi fumatori ogni 1000 adolescenti l’anno.
La diminuzione è stata invece costante nel Nord Europa, ovvero nei Paesi scandinavi e nel Regno Unito. In questi Paesi, che hanno conseguito i migliori risultati nel controllo del tabacco in Europa, il tasso di nuovi fumatori nella fascia 16-20 anni era di 20 nuovi fumatori ogni 1000 cittadini per anno nel periodo 2008-2009”.
Secondo i ricercatori l’anticipazione dell’età in cui si inizia a fumare potrebbe avere conseguenze importanti in termini di salute pubblica. “I bambini e gli adolescenti – aggiungono – sono particolarmente vulnerabili agli effetti del tabacco, non solo perché i loro organi sono ancora in via di sviluppo ma anche perché possono sviluppare più facilmente dipendenza alla nicotina. Negli ultimi anni è stato, inoltre, ipotizzato che l’esposizione al fumo di sigaretta in età molto giovane possa avere effetti avversi anche sulle generazioni successive attraverso meccanismi di danno epigenetico (alterazioni al DNA che possono essere trasmesse ai figli). Il possibile impatto di questo aumento di fumo nei giovanissimi è messo in particolare evidenza dal secondo lavoro del team di Verona, condotto in collaborazione con l’università di Bergen, in Norvegia, e pubblicato di recente sull’International Journal of Epidemiology.
Gli scienziati scaligeri hanno ricostruito la storia familiare di asma e abitudine al fumo di circa 4000 uomini e donne (genitori), quella dei loro 9000 figli e quella dei loro oltre 8000 genitori (nonni). L’analisi ha evidenziato che esistono delle finestre critiche nel corso della vita nelle quali l’esposizione al fumo di sigaretta può avere conseguenze non solo per il fumatore stesso, ma anche per i suoi figli e addirittura per i suoi nipoti. Infatti, il rischio di avere l’asma non allergica è risultato del 43% più alto per quei figli i cui padri avevano cominciato a fumare prima dei 15 anni di età, rispetto ai non fumatori. “Il dato – aggiunge Simone Accordini, prima firma di questo lavoro e referente del progetto per Verona – suggerisce che il fumo in giovanissima età può arrecare un danno alle cellule della linea germinale maschile dalle quali si originano gli spermatozoi, che si trasmette, in questo modo, alla prole. Inoltre, le donne le cui madri (nonne) avevano fumato mentre erano in utero avevano più frequentemente figli con asma allergica, rispetto alle figlie di non fumatrici”. Questo risultato suggerisce che il danno causato dal fumo possa colpire anche le cellule della linea germinale femminile, nelle ovaie, mentre la donna è nel grembo materno.
“Ci auguriamo che lo studio – spiegano gli scienziati – porti a un cambio di paradigma nella lotta al tabagismo, responsabilizzando anche i futuri padri e non solo le future madri durante la gravidanza e l’allattamento. Anche se esistono misure di comprovata efficacia nella lotta al tabagismo nei giovanissimi, tra cui gli aumenti del prezzo del tabacco, i divieti di vendita ai minori e il plain packaging, cioè la presenza di avvertimenti e immagini sugli effetti del fumo, l’applicazione di queste misure dovrebbe essere rafforzata nella maggior parte dei Paesi europei”.