Le aurore boreali sono uno degli spettacoli naturali più affascinanti, capaci di attrarre verso i poli turisti e appassionati da tutto il mondo. Oggi sappiamo che le fantasmagoriche “luci nord”, di cui esistono due tipi, sono dovute all’interazione tra le particelle cariche di origine solare e la ionosfera terrestre. Come degli schermi televisivi, in pratica, le aurore boreali ci mostrano ciò che accade a milioni di chilometri di distanza dalla Terra, dove il campo magnetico del nostro pianeta si allunga nello spazio allontanandosi dal sole.
“Da qualche parte nell’enorme volume della magnetosfera terrestre, una instabilità causa l’emissione di energia: si generano così delle ‘subtempeste’ geomagnetiche per cui le particelle ionizzate, viaggiando sulle onde magnetiche, attraversano l’atmosfera terrestre, dove rilasciano grandi quantità di energia e illuminano le aurore boreali”, spiega il fisico Jonathan Rae. Insieme ad altri ricercatori di diverse parti del mondo Rae è coautore di uno studio che ha osservato un’aurora in rapida evoluzione per capire perché, quando e come nella magnetosfera avviene questo rilascio di energia.
La “sottotempesta perfetta” nei cieli d’Alaska
Come spiegano sulle pagine di Nature Communications, per individuare il loro oggetto di studio i ricercatori hanno monitorato un’ampia parte di cielo fino a quando hanno trovato la “sottotempesta perfetta” da osservare nei cieli sopra Poker Flats, in Alaska, il 18 settembre 2012. Grazie ai dati ottenuti dal MOOSE (un osservatorio multispettrale dedicato ai “low-light-level phenomena” come aurore e meteore), Rae e colleghi hanno tracciato l’aurora mentre si muoveva verso il polo nord per un periodo di quattro minuti: un intervallo di tempo, relativamente lungo per questo tipo di fenomeni, che ha consentito agli scienziati di raccogliere una grande quantità di dati. Le informazioni ottenute sono state poi analizzate e confrontate con modelli specifici che hanno fornito importanti indizi di carattere fisico sulla formazione dell’aurora nello spazio e nel tempo.
Inizialmente, l’aurora sopra l’Alaska è apparsa come una linea arcuata di “puntini” luminosi che crescevano vistosamente in dimensioni e luminosità col passare dei secondi. Queste “onde luminose” sempre più vistose, caratteristiche delle aurore, sono un segno distintivo di instabilità nella magnetosfera. Confrontando questi dati con i modelli teorici più avanzati, il team è riuscito a restringere l’area dello spazio dove era più probabile che si trovasse l’instabilità all’origine dell’esplosione energetica.
Dalle aurore boreali al sistema solare
Con questo sistema, d’ora in poi sarà possibile mappare le aurore boreali risalendo all’indietro fino al punto nella magnetosfera in cui si verificano le instabilità e si potranno studiare i fenomeni fisici che le causano. Questo significa poter concentrare osservazioni e strumenti in un’area ben definita del cielo invece che cercare di osservare aree vastissime della volta celeste alla ricerca di zone di instabilità. “Siamo riusciti a fare una cosa che sfuggiva agli scienziati sin dalla prima descrizione scientifica dell’aurora negli anni Sessanta”, afferma Rae, “e, sebbene il nostro studio si riferisca un fenomeno terrestre, la metodologia potrà essere applicata in tutto il sistema solare”.
Riferimenti: A diagnosis of the plasma waves responsible for the explosive energy release of substorm onset
Foto: Nature Communications/Shutterstock