L’influenza aviaria torna a far paura in Asia. Il dipartimento della salute cinese ha infatti confermato che sabato scorso un uomo infettato dal virus H7N9 di 50 anni è stato ricoverato in condizioni critiche nell’ospedale di Nanchang.
Il virus H7N9 non era mai stato trovato nei mammiferi fino al marzo 2013, quando un vero e proprio focolaio di infezione in Cina portò alla morte decine di persone. Insieme al ceppo H5N1, si tratta di una forma molto pericolosa, sebbene la sua trasmissione da uomo a uomo non sia così semplice. Non si deve però correre il rischio di sottovalutare la possibilità di una pandemia: il virus ha sì un basso tasso di trasmissione, ma, come tutti i suoi simili, soprattutto quelli responsabili delle varie forme influenzali, è dotato anche di un’elevata capacità di mutazione.
Nonostante le direttive emanate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e gli interventi delle autorità pubbliche nei luoghi di diffusione del virus, i nuovi casi di infezione rivelano che esistono ancora gravi problemi di igiene nei mercati di pollame e negli allevamenti asiatici. Le autorità hanno provveduto sin da ottobre scorso all’abbattimento di 170000 uccelli in quattro province e alla chiusura di alcuni mercati di pollame. Il Ministro dell’Agricoltura cinese inoltre sottolinea che le autorità stanno agendo in modo efficace e tempestivo, non solo tramite l’abbattimento selettivo ma anche attraverso l’insegnamento di buone pratiche di gestione degli animali vivi, senza alcun bisogno di diffondere il panico fra la gente.
L’influenza aviaria ha già avuto un costo elevato, sia in termini di salute umana che di perdite economiche, causando decine di morti e, si stima, tra il 2013 e il 2014, il periodo di massima diffusione di H7N9, facendo perdere al settore agricolo cinese circa 6 miliardi di dollari.
Combattere adeguatamente l’infezione è un obiettivo importante non solo per la Cina, ma anche per paesi vicini, come Giappone e Corea del Sud, che la stanno ancora affrontando.