Scuola, che fare se lo studente non è un imbuto?

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Moltissimi anni fa, tra i “pensierini” che i bambini dovevano produrre a scuola era quasi inevitabile quello su “come sono e come vorrei essere”. Il “come sono” era spesso piuttosto deprimente mentre nel “come vorrei essere” si sviluppavano sogni su un futuro certamente poco realistico. Nei tentativi di educazione da parte degli adulti il “come vorrei” si trasformava quasi insensibilmente in un “come dovresti”: e da qui si avviavano buoni consigli, richieste particolari, suggerimenti, proposte personalizzate o impersonali: non tanto un “dovresti” ma un “si dovrebbe, si potrebbe, bisognerebbe”, e così via.

All’ombra dei grandi maestri

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Silvia Kanizsa, Francesca Linda Zaninelli (a cura di) La vita a scuola, Raffaello Cortina, 2020, pp. 227, € 23,00

Dopo una breve riflessione sul fatto che la scuola è inserita in un contesto socioculturale che si modifica nel tempo (ma sarebbe interessante ricordare che le velocità con cui si modificano i due sistemi sono abbastanza diverse), e che è caratterizzata sia da un alto livello di complessità organizzativa e relazionale determinato storicamente sia dall’obiettivo di costruire individui e cittadini migliori, Zaninelli prova a definire le caratteristiche dell’apprendimento, riportando citazioni che vanno da Dewey (1938) a Pontecorvo (2013), proponendo considerazioni sulla intenzionalità e la responsabilità degli adulti (insegnanti) che spesso sconfinano in dichiarazioni ormai fatte proprie da un diffuso buon senso comune.

Il testo curato da Silvia Kanizsa e Francesca Linda Zaninelli, rivolto presumibilmente a maestri o ad aspiranti maestri è veramente pieno di suggerimenti per un insegnamento produttivo, pieno di inviti al maestro che “deve”, “dovrebbe”, “è necessario che faccia”. E quasi ogni suggerimento è sostenuto da citazioni riprese dai testi di importanti pensatori o psicopedagogisti, la cui autorità è difficile mettere in discussione.

Del resto, anche la netta distinzione tra il compito dell’insegnante – trasmettere conoscenze – e quello dell’allievo – apprendere – col tempo e con le teorie costruttiviste si è abbastanza smorzata. Non viene peraltro citata la qualità degli strumenti su cui gli studenti dovrebbero costruire conoscenze, per esempio i libri di testo, né le loro modalità d’uso imposte o proposte dall’insegnante; questi spesso si limita a far trasmettere le conoscenze dagli stessi libri, invitando i ragazzi a studiare a casa un certo numero di pagine.

Autoritari o democratici

Nel successivo capitolo Kanizsa propone poi una abbondante documentazione sulla gestione della classe e sul ruolo dell’insegnante, offrendo una varietà di buoni consigli per evitare l’effetto “Pigmalione” e riportando opinioni sul fatto che comunque l’immagine che gli studenti hanno della scuola peggiora inesorabilmente di anno in anno. Descrive poi le caratteristiche (e i successi) sia dell’insegnante autoritario sia di quello democratico; gli insegnanti meno formali ritengono importante una disciplina meno rigida e una modalità di lavoro più accogliente, ma gli insegnanti più formali (Bennet 1976) ritengono che questo atteggiamento possa creare confusione nella “erogazione” dei contenuti. La parola erogazione fa sobbalzare chiunque si occupi di scuola in termini di cooperazione educativa o di costruttivismo: forse però da questa ha origine la metafora dell’imbuto, ampiamente sviluppata, ai giorni nostri, dalla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina.

Quali capacità e strumenti

Un capitolo scritto a quattro mani da autori vari ricorda agli insegnanti gli strumenti efficaci di cui potrebbero (dovrebbero) disporre nel loro lavoro, a cominciare (la retorica non guasta) dalla grande curiosità e passione nei confronti della materia insegnata. Tuttavia, tra le tante necessità di un bravo insegnante, non si pone l’accento sulle sue esigenze culturali che dovrebbero essere sviluppate al pari di quelle relazionali, sulle difficoltà della trasposizione didattica, su come interpretare sia i fenomeni del mondo sia le idee in formazione dei ragazzi, né si accenna alla necessità di una formazione continua che veda l’insegnamento adeguato allo sviluppo di nuove conoscenze.

“Purtroppo – dicono così le autrici – l’insegnamento è una professione che richiede che tutti abbiano una buona capacità di ascolto e un atteggiamento empatico nei confronti dei bambini e degli alunni, pena l’insuccesso”. Ed anche la parola “purtroppo” lascia piuttosto perplesso il lettore che ha esperienza delle dinamiche di classe e del grande interesse che le organizzazioni del pensiero infantile, le loro cosmologie, hanno nella costruzione di conoscenza significativa.

Osservare e trasmettere

Altro punto didatticamente rilevante è la procedura di osservazione dei ragazzi a scuola, ben diversa dal semplice guardare o vedere cosa fanno o come si comportano. E per osservare meglio, ovviamente, servono protocolli strutturati, in modo che lo sguardo dell’insegnante si modelli sullo sguardo esperto dell’estensore del protocollo. In mancanza, si può usare un quadernuccio su cui appuntare “carta e matita” le varie osservazioni, cercando di limitare al massimo le interferenze dovute alla propria soggettività.

Certo, sarebbe utile conoscere anche la cultura dei bambini, essere consapevoli dei concetti e delle pratiche che riempiono la loro vita, “altrimenti la scuola non sarà mai compresa quale luogo di trasmissione culturale che deve essere, ma verrà ridotta ad agenzia di socializzazione”. Ma citando autori che parlano di “trasmissione culturale” sembra che le autrici non abbiano a disposizione altrettante importanti citazioni di autori che riguardino invece la “costruzione di conoscenza”, gli studi che considerano i bambini parte attiva dei loro processi di apprendimento, valorizzando le loro idee originali e creative anche se non ancora incasellate nella rigorosa struttura del sapere costituito.

Comunque, per andare incontro al pensiero dei giovani, l’insegnante può accedere alla robotica educativa, adatta a sviluppare pensiero computazionale, come dimostrato da un piccolo esempio di lavoro delle insegnanti di un Istituto Comprensivo di Morbegno. Indicazioni su sussidi presenti in rete su questo tema accompagnano la proposta.

Ansia da valutazione

Negli ultimi due capitoli, le indicazioni su quello che un bravo insegnante dovrebbe poter fare riguardano la collegialità della funzione docente e le modalità di valutazione. Anche su questi argomenti le citazioni di numerosi studiosi possono essere d’aiuto per superare le difficoltà connesse a questi rilevanti aspetti del fare scuola. Infatti se, a proposito di valutazione, gli insegnanti potessero ispirarsi esplicitamente alle più aggiornate tecniche docimologiche, potrebbero poi applicarle “diligentemente” in classe. E’ particolarmente importante – sostiene nell’ultimo capitolo Giuliana Mosconi – che l’insegnante sappia lottare contro i propri pregiudizi, senza mostrare resistenza nei confronti del cambiamento degli allievi.

Da tempo, però, si è presentata in Europa e nel mondo la necessità di monitorare l’efficienza non già dei singoli alunni o delle singole classi ma dell’intero sistema formativo, per sostenere e migliorare gli istituti di formazione che non raggiungono gli esiti previsti. La valutazione esterna viene però ancora vissuta dagli insegnanti come fossero dei “bambini cattivi” e temuta come se gli insuccessi dei ragazzi li confermassero come professionisti incapaci. Questo li spinge a fare di tutto perché gli allievi imparino a rispondere in modo corretto alle domande delle prove. Altre criticità di queste modalità di valutazione sono documentate da autori vari, che sottolineano piuttosto il valore di una valutazione formativa volta a trasformare “una scuola che si difende in una scuola che apprende”.

Ma, commentando questa ultima frase del libro e pensando alle valutazioni variamente espresse nella quotidianità scolastica sui registri elettronici, non sarebbe forse compito specifico della scuola trasformare anche “un bambino che si difende in un bambino che apprende”?  Diciassette pagine di bibliografia sostengono il pensiero delle autrici, dal Dewey del 1899 passando per Bruner del 1964, Montessori del 1954, fino ad Amadini del 2020.

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Credits immagine di copertina: Photo by Element5 Digital on Unsplash

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