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Il lavoro di squadra dei batteri per degradare il petrolio

(Credits: E. Krall/Flickr CC)
(Credits: E. Krall/Flickr CC)

Esistono batteri in grado di metabolizzare alcuni componenti del petrolio, rivelandosi utili per limitare i danni dopo uno sversamento. Ma come ci riescono? Uno studio, pubblicato su Nature Microbiology, ha analizzato i genomi di batteri raccolti nelle vicinanze della piattaforma Deepwater Horizon, protagonista, nel 2010, di uno dei maggiori disastri ambientali della storia recente. Questo ha permesso di capire meglio il profilo metabolico delle specie coinvolte e ha fatto emergere una forte interazione tra i componenti della comunità.

Come noto da tempo, dopo uno sversamento di petrolio in mare la comunità batterica cambia drasticamente: aumentano le specie in grado di utilizzare alcuni componenti del petrolio, a discapito delle altre. Ma quali sono i fattori genetici alla base di questa capacità? Per scoprilo i ricercatori si sono serviti di tecniche che hanno permesso loro di sequenziare il Dna di batteri non coltivati in laboratorio.

“Il petrolio è formato da circa 1000 composti chimici diversi” ha affermato Nina Dombrowski, che ha preso parte allo studio: “Si possono però identificare due classi principali: gli alcani, relativamente facili da digerire, e gli idrocarburi aromatici, molto più complessi”. Non sorprende, quindi, che i geni coinvolti nel metabolismo degli alcani fossero presenti in quasi tutte le specie analizzate. Inaspettato, invece, è il numero di specie che si sono rivelate in grado di utilizzare i composti aromatici; specie note, ma di cui non si conosceva questa capacità. Un esempio è il batterio Neptuniibacter, che finora non si credeva nemmeno coinvolto nella degradazione del petrolio.

Quello che però ha colpito maggiormente i ricercatori è stato come i membri della comunità batterica lavorassero insieme per arrivare a degradare il petrolio. Un gioco di squadra che coinvolge tutti i membri della comunità, permettendo di affrontare un lavoro così complesso. Lavoro che non si ferma al petrolio, dato che alcuni batteri si sono rivelati addirittura capaci di metabolizzare componenti dei disperdenti, cioè le sostanze immesse dall’essere umano per disperdere il petrolio sversato e che possono rivelarsi nocivi per l’ambiente.

Lo studio, concludono gli autori, mostra come la comunità batterica costituisca un valido alleato nei casi di sversamento di petrolio e può essere d’aiuto nell’indirizzare al meglio le azioni umane: “Ad esempio, alcune sostanze contenute nei disperdenti possono inibire l’azione batterica” ha continuato Dombrowski “Grazie a questo lavoro, potremo progettare disperdenti che non ostacolino i batteri, in modo da facilitarne l’azione”.

Riferimenti: Nature Microbiology Doi: 10.1038/NMICROBIOL.2016.57

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