Il lupus si studia sui social

    Il lupus eritematoso sistemico (Les) è una malattia complessa. Si tratta di una patologia cronica che può colpire qualsiasi parte del corpo, con sintomi difficili da riconoscere e spesso non evidenti, ma che hanno comunque un impatto devastante sulla qualità di vita dei pazienti. Per questo motivo, è fondamentale che i malati si rivolgano ai centri di eccellenza: vere e proprie “lupus clinic”, dove vengono presi in cura da un’equipe multidisciplinare di specialisti, che possono affrontare al meglio i diversi aspetti della patologia, e offrire un sostegno concreto anche nella gestione quotidiana della malattia. Un modello di cura integrato chiesto a gran voce dagli stessi pazienti, ma ancora poco diffuso nel nostro Paese. A dimostrarlo sono due studi che hanno analizzato in modo innovativo la qualità di vita dei malati di Les sfruttando internet e i social media, e i cui risultati sono stati recentemente presentati presso la Lupus Clinic del Policlinico Umberto I  di Roma.

    La prima indagine, Lupus Sna (o Social Network Analysis), ha scattato un’istantanea della vita quotidiana e dei problemi e bisogni dei pazienti, analizzando la loro attività sui social media. “Il lupus eritematoso sistemico è una malattia multisistemica che spesso non presenta sintomi evidenti. Per questo, a volte i disagi di chi ne soffre sono difficili da comprendere”, ha spiegato la Angela Tincani, professoressa di Reumatologia dell’Università di Brescia che ha presentato i risultati dello studio.

    La ricerca ha analizzato i messaggi scritti sui social media dai pazienti americani ed europei, portando alla luce problemi e bisogni spesso difficili da mettere a fuoco. Tra le difficoltà più comuni ad esempio sono emersi piccoli disagi quotidiani come la scelta del periodo di ferie, resa complicata dalla necessità di evitare l’esposizione alla luce solare. Altri ambiti problematici sono quelli del lavoro, perché i pazienti non possono compiere occupazioni faticose, e la vita di coppia, in cui spesso nascono incomprensioni legate alla difficoltà di comunicare al partner le proprie esigenze di salute, e ai sintomi poco evidenti della malattia.

    “Sui social network è emerso inoltre il disappunto di molti pazienti nei confronti dei nuovi farmaci biologici”, ha aggiunto Tincani. “Si tratta della prima vera novità terapeutica nella cura del lupus sviluppata negli ultimi 50 anni, e forse le aspettative dei malati sono risultate troppo alte. I farmaci per ora sono efficaci circa nel 20% dei casi, ed è importante aiutare i pazienti a comprenderlo. Anche sui social media comunque, si vede chiaramente come, dopo un iniziale disappunto, molti dei pazienti che hanno portato avanti la terapia ne abbiano sperimentato concretamente i benefici”.

    Risultati simili sono emersi anche dalla seconda ricerca, presentata da Augusta Cantona, Presidente del Gruppo Les italiano. Lo studio, di cui per ora sono disponibili i risultati preliminari, ha indagato le difficoltà più sentite dai pazienti con lupus attraverso un questionario online a cui hanno risposto oltre 500 malati italiani.

    Un primo dato importante emerso dallo studio riguarda il tempo che intercorre tra lo sviluppo dei sintomi e la diagnosi accertata di Les: nel 56% dei casi questa avviene entro un anno, percentuale che sale al 72% entro i due anni e all’83% entro cinque. Dati confortanti, ha commentato Cantona, perché evidenziano una maggiore accuratezza e tempestività nella diagnosi nell’ultimo decennio. Preoccupante però rimane la percentuale tutto sommato alta di pazienti, circa il 17%, che ha ricevuto una diagnosi solo a 20 anni dall’esordio dei sintomi.

    Sotto il profilo dei disagi legati alla malattia, il principale è risultato il dolore osteoarticolare, che per l’83% del campione rappresenta il sintomo principale della patologia, e che per il 73% dei casi si manifesta cronicamente con uno o più episodi a settimana. Numeri molto altri, a fronte dei quali solamente il 54% dei pazienti ha dichiarato di utilizzare frequentemente farmaci per il controllo del dolore, anche a causa di una certa resistenza da parte dei medici che forse sottostimerebbero l’impatto del dolore cronico in questa patologia.

    Guardando all’effetto della malattia sulla vita quotidiana dei pazienti, l’ambito più penalizzato è risultato quello lavorativo, su cui peserebbero il frequente mancato riconoscimento dell’invalidità (riconosciuta solamente al 64% delle pazienti che hanno partecipato allo studio), e il pregiudizio sociale per una malattia ritenuta ancora da molti “immaginaria” a causa della mancanza di sintomi evidenti.

    Per quanto riguarda infine il medico a cui si rivolgono i pazienti con Les, la figura prevalente è ovviamente quella del reumatologo (64%), ma notevole è anche al percentuale che dichiara di essere seguita dal medico di base (57%). Il 55% dei pazienti si è rivolto inoltre a strutture ospedaliere specialistiche. Solo il 21% però ha avuto accesso ad una lupus clinic, il cui approccio interdisciplinare è stato giudicato fondamentale da molti pazienti che hanno partecipato all’indagine. Secondo il Gruppo Les italiano, sono ancora troppo pochi infatti i centri che adottano il modello integrato della Lupus Clinic, nel quale il paziente dovrebbe ricevere facilitazioni specifiche nel suo percorso di cura, come l’invio diretto agli specialisti e le prenotazione delle visite, e dove è disponibile uno psicologo dedicato, di cui moltissimi dei partecipanti allo studio hanno sottolineato l’importanza.

    Credits immagine: via Pixabay

    Se avete ricerche e studi da segnalare alla redazione per la rubrica “Ricerca d’Italia” scrivete a redazione@galileonet.it

    LASCIA UN COMMENTO

    Please enter your comment!
    Please enter your name here