Offrono supporto metabolico e trofico ai nostri neuroni, e partecipano ai processi per la ricostruzione dei tessuti danneggiati. Non solo. Secondo uno studio pubblicato su The Journal of Experimental Medicine e coordinato dai ricercatori del San Raffaele di Milano, gli astrociti sarebbero coinvolti anche nel processo patologico della sclerosi multipla. La ricerca infatti, finanziata da FISM (Fondazione Italiana Sclerosi Multipla), mostra come l’ossido nitrico prodotto da queste cellule in risposta alle neurotrofine sia coinvolto nei processi di morte neuronale tipici dei processi neurodegenerativi della malattia.
Il possibile coinvolgimento di queste cellule nella sclerosi multipla è stato ipotizzato dopo che nei modelli animali della malattia e nelle lesioni della patologia i ricercatori avevano osservato elevate espressioni di un recettore negli astrociti, il TrkB. Si tratta di una molecola in grado di rispondere alle neurotrofine, “messaggeri” coinvolti nella neuro-rigenerazione e nella neuro-protezione. Attraverso alcuni esperimenti in vitro e nei modelli animali di sclerosi multipla gli scienziati hanno però dimostrato che quando il recettore è molto espresso la sua stimolazione (con neurotrofine) determina il rilascio di ossido nitrico: un potenziale “veleno” per i neuroni, in grado di ucciderli, favorendo il processo neurodegenerativo e l’infiltrazione delle cellule immunitarie.
La scoperta potrebbe avere delle ripercussioni anche per i pazienti, come ha spiegato Cinthia Farina dell’IRCCS San Raffaele, a capo dello studio: “In futuro, strategie volte a bloccare il processo neurodegenerativo innescato dalle neurotrofine tramite l’astrocita potrebbero condurre allo sviluppo di nuove terapie neuro-protettive”.
Riferimenti: Stimulation of the neurotrophin receptor TrkB on astrocytes drives nitric oxide production and neurodegeneration, Emanuela Colombo, Chiara Cordiglieri, Giorgia Melli, Jia Newcombe, Markus Krumbholz, Luis F. Parada, Enzo Medico, Reinhard Hohlfeld, Edgar Meinl, and Cinthia Farina, The Journal of Experimental Medicine doi: 10.1084/jem.20110698
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