I buchi neri supermassicci possono avere compagnia? Da quello che sappiamo sulla formazione delle galassie la risposta è affermativa, e in effetti le coppie di buchi neri supermassici dovrebbero essere comuni nell’Universo. Come ricercatrice mi interesso a una vasta gamma di problemi di astrofisica teorica, dalla formazione delle primissime galassie, alle interazioni gravitazionali tra buchi neri, stelle e persino pianeti. I buchi neri sono sistemi intriganti, e i buchi neri supermassicci e l’ambiente stellare estremamente denso che li circonda rappresentano uno dei luoghi più estremi nel nostro Universo.
Un buco nero è un oggetto astronomico attorno a cui la gravità è talmente forte che né la luce né le particelle possono sfuggire. Al centro della nostra galassia oggi sappiamo che si nasconde un buco nero supermassiccio, chiamato Sgr A*, che ha una massa pari a circa 4milioni di volte quella del nostro Sole.
Attorno a Sgr A* è presente un denso ammasso stellare. La misurazione precisa delle orbite di queste stelle ha permesso agli astronomi di confermare l’esistenza del buco nero supermassiccio e di misurarne la massa. Per più di 20 anni, gli scienziati hanno monitorato le orbite delle stelle che gravitano attorno a questo buco nero supermassicio. E basandosi su quello che abbiamo osservato, io e i miei colleghi abbiamo dimostrato c’è anche un altro nei pressi, probabilmente, un secondo buco nero con una massa pari almeno a 100mila volte quella del nostro Sole.
Sgr A* “danza” con un altro buco nero supermassiccio?
Praticamente ogni galassia, compresa la nostra Via Lattea ovviamente, possiede un buco nero supermassiccio al suo centro, con una massa milioni, se non miliardi, di volte superiore a quella del Sole. Gli astronomi stanno ancora studiando il perché, e una delle possibili spiegazione è collegata alla possibilità che i buchi neri supermassicci abbiano spesso dei compagni.
Per comprendere come mai, dobbiamo tornare indietro ad un periodo in cui l’Universo esisteva da appena 100milioni di anni, l’era in cui sono nate le primissime galassie. Galassie molto più piccole di quelle attuali, e circa 10mila volte meno massicce della nostra Via Lattea. Le prime stelle morte in queste galassie ancestrali formarono dei buchi neri, con massa pari a decine o migliaia di volte quella del Sole. Questi buchi neri sprofondarono quindi verso il centro di gravità, ovvero il nucleo delle galassie che li ospitavano. E visto che le galassie evolvono fondendosi e scontrandosi con altre galassie, le collisioni tra galassie producono coppie binarie di buchi neri supermassicci, che è poi la parte della storia che ci interessa.
Anche i buchi neri entrano in collisione con altri corpi celesti ed aumentano di dimensione. E un buco nero che raggiunge una massa che supera di un milione di volte quella del Sole viene considerato supermassiccio. Se realmente un buco nero supermassiccio ha un compagche gli orbita attorno a distanza ravvicinata, il centro della galassia diventa il teatro di una danza estremamente complessa. E l’attrazione gravitazionale del collega si farà sentire anche sulle stelle circostanti, disturbandone le orbite. I due buchi neri infatti orbitano l’uno attorno all’altro, e al contempo ognuno esercita la propria attrazione sulle stelle circostanti.
La gravità dei buchi neri attira queste stelle e le spinge a cambiare orbita; in altre parole, dopo aver effettuato una rivoluzione attorno alla coppia di buchi neri una stella non tornerà mai esattamente al punto di partenza. Utilizzando le nostre conoscenze sulle interazioni gravitazionali all’interno della possibile coppia di buchi neri e nei confronti dei corpi celesti circostanti, gli astronomi possono prevedere cosa dovrebbe accadere alle stelle. Gli astrofisici come me e i miei colleghi comparano quindi le previsioni con le osservazioni disponibili, e possono determinare le possibili orbite delle stelle, e comprendere se il buco nero supermassiccio ha un compagno che sta esercitando la propria influenza gravitazionale.
Utilizzando una stella ben studiata, chiamata SO-2, che compie un’orbita attorno al buco nero supermassiccio posto al centro della galassia ogni 16 anni, abbiamo già potuto escludere che esista un secondo buco nero con una massa 100mila volte superiore a quella del Sole e a una distanza superiore a 200 volte quella che separa il Sole dalla Terra. Se un simile compagno esistesse, io e i miri colleghi lo avremmo individuato dagli effetti che eserciterebbe sull’orbita di SO-2. Ma questo non vuol dire che non possa nascondervisi un buco nero più piccolo. Un simile corpo celeste non altererebbe infatti a l’orbita di SO-2 in modo misurabile.
La fisica dei buchi neri supermassicci
I buchi neri supermassicci hanno ottenuto moltissima attenzione ultimamente. In particolare, la recente immagine di uno di questi giganti al centro della galassia M87 ha aperto una nuova finestra che potrebbe aiutarci a comprendere più a fondo la fisica dei buchi neri. La vicinanza del centro galattico della Via Lattea – situato ad appena 24mila anni luce da noi – fornisce un laboratorio unico per rispondere ad alcuni dei problemi più fondamentali della fisica dei buchi neri supermassicci. Per fare un esempio, gli astrofisici come me vorrebbero comprendere quale sia il loro impatto sulle regioni centrali delle galassie, e il ruolo che giocano nella formazione e nell’evoluzione delle galassie. La scoperta di una coppia di buchi neri nel centro galattico indicherebbe che la Via Lattea si è fusa in qualche momento del passato con una seconda galassia, probabilmente di piccole dimensioni.
E non è tutto quello che potremmo scoprire monitorando le stelle che circondano il nucleo della nostra galassia. Le misurazioni della stella SO-2 hanno permesso agli scienziati di effettuare un test unico della teoria della relatività generale id Einstein. Nel maggio del 2018 SO-2 è passata nei pressi del buco nero supermassiccio, ad una distanza pari ad appena 130 volte quella che separa la Terra dal Sole. Secondo la teoria di Einstein, la lunghezza d’onda della luce emessa dalla stella dovrebbe essere distorta mentre risale lungo il profondo pozzo gravitazionale che circonda il buco nero.
La distorsione della lunghezza d’onda prevista da Einstein – che fa apparire più rossa la stella – è stata effettivamente registrata, e ciò dimostra che la teoria della relatività generale descrive accuratamente la fisica di queste aree di gravità estrema. Io aspetto con ansia il secondo passaggio ravvicinato di SO-2, che avverrà tra circa 16 anni, perché saremo in grado di testare ulteriormente le previsioni di Einstein sulla relatività generale, compresi i cambiamenti di orientamento dell’orbita della stella. Ma se il buco nero avesse un partner, questo potrebbe alterare i risultati che ci aspettiamo di ottenere.
Se ci fossero due buchi neri massicci che orbitano in coppia al centro della galassia, come suggerito dal lavoro del mio team, allora emetterebbero onde gravitazionali. Dal 2015 gli osservatori di Ligo-Virgo captano onde gravitazionali emesse dalla fusione di buchi neri stellari e stelle a neutroni. Queste rilevazioni rivoluzionarie hanno aperto un modo completamente nuovo con cui gli scienziati possono sondare l’Universo. Ogni onda emessa dalla nostra ipotetica coppia di buchi neri avrebbe una frequenza molto bassa, troppo bassa per essere rilevata dagli strumenti di Ligo-Virgo. Ma un nuovo rilevatore spaziale conosciuto come Lisa potrebbe rilevare anche queste onde, che aiuterebbero gli astrofisific a comprendere se il buco nero al centro della nostra galassia è solo, o ha un compagno.
Articolo apparso in orgine in inglese su The Conversation. Traduzione a cura della redazione di Galileo.