Prima Harvey, poi Irma, infine Maria. Nomi che, nei mesi recenti, hanno riempito le pagine di tutti i giornali. Si tratta degli ultimi uragani (in ordine di tempo) che si sono generati nell’oceano Atlantico e poi abbattuti sulle coste di Stati Uniti, Cuba e Messico, provocandovi devastazioni imponenti e disastrose. Notizie a cui, purtroppo, siamo ormai abituati: la cronaca degli ultimi anni, infatti, ci ha spesso raccontato di eventi meteorologici sempre più estremi e distruttivi, e viene lecito, dunque, chiedersi se e come tali eventi siano effettivamente aumentati – sia in frequenza che in potenza – e, soprattutto, se e come siano collegati ai cambiamenti climatici in atto nel pianeta. Domande, specie la seconda, su cui la comunità scientifica si sta interrogando da diversi anni a questa parte, e che ancora non hanno trovato una risposta univoca e conclusiva. C’è da dire che, al momento, le ipotesi che riscuotono più consenso ed evidenze sono quelle secondo le quali l’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento del livello del mare siano responsabili, a livello statistico-probabilistico, dell’aumento di tutti gli eventi estremi, tra cui, per esempio, alluvioni anomale, periodi di siccità prolungata e, per l’appunto, uragani.
Cosa s’intende, esattamente, per “livello statistico-probabilistico”? Per capire meglio come stanno le cose, abbiamo chiesto lumi a Vincenzo Levizzani, ricercatore all’Istituto discienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Bologna. “Bisogna anzitutto premettere”, ci ha spiegato Levizzani, “che negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere e caratterizzare molto meglio gli uragani, in termini soprattutto di struttura, dinamica, creazione, evoluzione e dissolvimento: ciò è stato reso possibile grazie a osservazioni un tempo impossibili a causa di limitazioni tecniche, come le osservazioni da satellite e da aereo. E questa maggiore conoscenza ci permette, naturalmente, di studiare con più precisione il rapporto tra questi eventi e il cambiamento climatico”.
I dati al momento disponibili, ci spiega Levizzani, sembrano comunque mostrare che non si è (ancora) registrato un aumento significativo della frequenza degli uragani: “La stagione degli uragani”, dice lo scienziato, “è quella a cavallo tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, con un picco a settembre. È sempre stato così e gli ultimi anni non hanno fatto eccezione. Allo stesso modo, è difficile stabilire se effettivamente gli uragani degli ultimi anni siano più forti di quelli degli anni scorsi: fenomeni del passato, come Ugo, Mitch e Katrina hanno per esempio mostrato una potenza comparabile o addirittura superiore rispetto ad Harvey, Irma e Maria”. Ma già su questo punto le prove non sono univoche: gli esperti dello Intergovernmental Panel on Climate Change, per esempio, sono di parere più negativo, e in un report del 2013 scrivono di essere “virtualmente certi” che ci sia stato un “aumento di frequenza e intensità dei cicloni tropicali più forti, nell’Atlantico settentrionale, a partire dagli anni Settanta”.
Ciò premesso, arriviamo al possibile collegamento tra uragani e cambiamenti climatici. Dal punto di vista fisico, uno dei meccanismi coinvolti potrebbe essere descritto dall’equazione di Clausus-Clapeyron, che sostanzialmente lega l’aumento della temperatura all’aumento delle precipitazioni: “Si tratta di un modello”, spiega Levizzani, “che, per semplificare, postula che con l’aumento delle temperature aumenti la quantità di acqua che evapora dagli oceani, che a sua volta porta a una maggiore formazione di nubi e quindi a un aumento delle precipitazioni”. In particolare, l’equazione di Clausius-Clapeyron prevede che per ogni grado e mezzo di riscaldamento si verifichi un aumento del 3% del contenuto di umidità dell’atmosfera. Un modello che effettivamente sembra ragionevole, ma che ancora non è stato validato rispetto alla formazione di cicloni e uragani.
Il punto da tenere bene a mente è che è impossibile legare un singolo evento ai cambiamenti climatici e bisogna quindi ragionare, per l’appunto, per probabilità: “Il singolo uragano è un processo meteorologico, non climatico, che si genera nel momento in cui si verificano le condizioni giuste. Il cambiamento climatico, si suppone, agisce a un altro livello, aumentando le probabilità che si verifichino tali condizioni e dunque, di conseguenza, la probabilità che si verifichino più eventi estremi”. Per spiegare questo meccanismo, gli scienziati si servono della metafora del giocatore di baseball dopato: sappiamo che l’assunzione di steroidi rende un atleta più forte, ma non possiamo stabilire con certezza se un lancio particolarmente riuscito sia conseguenza diretta del doping. Tutto quello che possiamo dire è che le prestazioni dell’atleta saranno, in media, migliori in virtù dell’assunzione di sostanze dopanti.
C’è da dire inoltre che, effettivamente, tutti i modelli e le osservazioni disponibili sembrano puntare in questa direzione: “È prematuro”, si legge in una dichiarazione ufficiale del Geophysical Fluid Dynamics Laboratory, l’organo della National Oceanic and Atmospheric Association (Noaa) statunitense che si occupa di studiare le dinamiche dei fluidi terrestri e atmosferici, “concludere che le attività umane – e in particolare le emissioni di gas serra che provocano il riscaldamento globale – abbiano già avuto un impatto rilevabile sugli uragani atlantici o sull’attività ciclonica tropicale a livello mondiale. Detto questo, è bene ricordare che le attività umane potrebbero aver già causato cambiamenti non ancora rilevabili a causa della piccola intensità dei cambiamenti stessi, a limitazioni tecniche nelle nostre osservazioni o a modelli non ancora perfetti”. L’ente di ricerca, però, ammonisce che “il riscaldamento antropogenico, entro la fine del Ventunesimo secolo, probabilmente farà sì che i cicloni tropicali siano più intensi in media (tra il 2% e l’11%): un cambiamento che potrebbe implicare un aumento percentuale ancora più significativo del potenziale distruttivo di ciascuna tempesta”.
Dello stesso parere anche la World Meteorological Organization (Wmo), agenzia per il clima delle Nazioni Unite: “I cambiamenti climatici in atto”, ha detto recentemente a Reuters Clare Mullis, portavoce della Wmo, “stanno molto probabilmente aumentando le precipitazioni associate agli uragani e ai cicloni”, chiarendo però ancora una volta che “il cambiamento climatico non causa i cicloni. I cicloni ci sono sempre stati. La relazione tra cambiamenti climatici e frequenza di uragani non è chiara. La ricerca nel campo sta andando avanti, ma c’è ancora molto da scoprire”. Non ci resta che attendere.
Via: Wired.it