L’unità “Alcol, droghe e comportamenti di dipendenza” dell’Organizzazione mondiale della sanità scrive che la Cannabis – termine generico per indicare le accezioni psicoattive della pianta Cannabis sativa – è la droga di gran lunga più coltivata, diffusa e abusata. Si stima che ne faccia uso circa il 2.5% della popolazione mondiale (contro lo 0.2% che fa uso di cocaina o oppiacei). Nella pagina dedicata, segue una breve storia sulla sua diffusione recente e una lista molto dettagliata degli effetti collaterali acuti sulla salute e di quelli a lungo termine. Ma da dove deriva questa pianta, come è stata addomesticata e come si è diffusa? Spesso trafficata sottobanco e condannata da molti governi per l’uso improprio, della Cannabis sativa si sono perse le tracce per lunghi periodi rendendo difficile ricostruirne la storia in modo lineare. Ci sono ora riusciti gli scienziati del laboratorio di conservazione biologica dell’Università di Losanna, in collaborazione con alcuni istituti cinesi. Lo studio è stato pubblicato su Science Advances.
Origini e utilizzi della Cannabis Sativa
Un’ulteriore difficoltà nel ricostruire la storia di questa pianta deriva dal fatto che la selezione artificiale operata durante la sua domesticazione somiglia molto al processo di selezione naturale ma avviene su una scala temporale molto più ridotta, poiché l’essere umano che la coltiva sceglie per la riproduzione unicamente gli individui con le caratteristiche che desidera selezionare e mantenere nella popolazione.
“Idealmente, per ricostruire la storia genetica di una specie è necessario campionare l’insieme delle varietà addomesticate, moderne e tradizionali, su tutta l’area di distribuzione geografica e individuare la specie selvatica da cui queste derivano. Infine, è indispensabile avere dei dati storici su cui basarsi”, spiega a Galileo Luca Fumagalli, ricercatore del Dipartimento di Ecologia ed Evoluzione dell’università di Losanna e autore dello studio. “Fattori come l’ibridazione continua tra le varietà domestiche e l’origine parallela del processo di domesticazione in svariate regioni rendono la ricostruzione più complicata. Nel caso della Cannabis, le difficoltà principali sono state l’accesso estremamente complicato ai campioni, a causa dello statuto illegale della marijuana nella maggior parte del mondo, la probabile scomparsa della specie selvatica e l’assenza di dati scientifici solidi su cui basare l’interpretazione dei risultati, in particolare per quel che riguarda l’origine dei campioni di marijuana”.
Per individuare il ceppo madre della Cannabis sativa, dunque, gli scienziati si sono dovuti spingere molto indietro nel tempo. Grazie al risequenziamento dell’intero genoma di 110 accessioni di provenienza mondiale, sono riusciti a mostrare che la pianta è stata addomesticata per la prima volta all’inizio del neolitico in Asia orientale (circa 12 mila anni fa) e che tutte le attuali varietà di canapa e droga divergono da un pool genetico ancestrale attualmente rappresentato da piante selvatiche e da varietà locali in Cina.
Il potere terapeutico
Per decenni, la ricerca si è focalizzata solamente sulle molecole del cannabidiolo (Cbd) e soprattutto su quelle psicoattive del tetraidrocannabinolo (Thc). Il particolare interesse verso l’origine della Cannabis sativa, però, deriva dalla riscoperta del potenziale terapeutico delle numerose molecole chimiche in essa contenute. Fra gli utilizzi terapeutici più noti, l’Organizzazione mondiale della sanità annovera la riduzione di sintomi acuti tipici dello stadio avanzato di alcune patologie come l’Aids, il trattamento di asma e glaucoma, l’effetto antidepressivo, stimolante dell’appetito, anticonvulsivo e antispasmodico. Tuttavia, la ricerca precisa degli agenti terapeutici dei cannabonoidi è ancora agli inizi e conoscere l’origine e la variabilità genetica delle popolazioni della specie – scrivono gli autori – può aiutare a creare nuove varietà con profili chimici particolari. Nello studio, ad esempio, si riporta la scoperta di prove della perdita di funzione dei geni coinvolti nella sintesi dei due principali cannabinoidi biochimicamente concorrenti durante la selezione al fine di potenziare la produzione di fibre o le proprietà psicoattive.
Una pianta “multiuso”
Per quel che riguarda l’uso della Cannabis sativa all’inizio del processo di domesticazione, sembra che essa fosse una coltura principalmente multiuso già durante il primo periodo neolitico, probabilmente uso tessile e medico. La questione, però, appare piuttosto controversa in quanto all’epoca l’essere umano si dedicava all’agricoltura principalmente per scopo alimentare.
“Penso che sia estremamente difficile pronunciarsi sulla questione”, dice ancora Fumagalli. “I primi dati archeologici a disposizione (risalenti a circa 10mila fa) sembrano favorire l’uso tessile e alimentare, mentre i reperti concernenti un utilizzo medico e ricreativo sono molto più recenti (2500 anni fa). I nostri risultati suggeriscono che solo a partire da 4 mila anni fa l’essere umano ha cominciato a selezionare la pianta per la produzione di fibra e per l’estrazione di molecole chimiche. Un’ipotesi che proponiamo, quindi, è che durante i millenni precedenti la pianta sia stata utilizzata a scopo multiuso, vale a dire per la fibra, l’alimentazione e le sue proprietà chimiche”.
Riferimenti: Science Advances