Partirà alle 10 dal carcere di Regina Coeli a Roma la marcia del 25 aprile per “l’amnistia, la giustizia e la libertà”. I Radicali Italiani, a pochi anni di distanza dalla prima imponente mobilitazione che poi portò all’approvazione dell’indulto del 2006, chiedono nuovamente al Parlamento di porre un freno al collasso del sistema carcerario italiano. Il fatto che si debba tornare a gridare per le strade le stesse cose già urlate sei anni fa non è certo un buon segno. Ci dice, in sostanza, che nulla è cambiato.
Gli stessi aberranti numeri di allora incombono ancora oggi sulle patrie galere: 66.695 detenuti (dati del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria aggiornati al 31 marzo 2012) per una capienza massima di 45.743. Il patologico sovraffollamento degli istituti di pena si è oramai cronicizzato intorno al tasso del 150 per cento, in barba sia all’indulto che alle temutissime soluzioni “svuota carceri” dei ministri Alfano e Severino.
Così il sistema penitenziario è diventato disumano, illegale e inutile. Tre giganteschi difetti che tutti coloro che aderiscono alla marcia (qui la lunga lista dei promotori e delle adesioni) vorrebbero correggere. Vediamoli nel dettaglio.
E’ disumano. Perché troppo spesso sono state descritte situazioni del genere: tre persone in sei metri quadrati, un’intimità violata anche in bagno, grate fitte che impediscono il passaggio della luce e impongono una penombra perenne, muffa sulle pareti, scarafaggi sui pavimenti e un’aria che in molti decidono di non volere più respirare. Come i 18 detenuti che dall’inizio del 2012 si sono tolti la vita. Il triste conteggio dei suicidi che l’associazione Ristretti Orizzonti pubblica sul suo sito varia poco da un anno all’altro: 66 nel 2011, 66 ugualmente nel 2010, 72 nel 2009, eccetera. Un dramma destinato a ripetersi finché il sostegno psicologico sarà ridotto al lumicino, con un educatore ogni sessanta detenuti.
E’ illegale. Perché infrange le nostre leggi, tanto quanto quelle internazionali (Galileo: Quelle carceri fuorilegge).
Il sovraffollamento non va infatti d’accordo con quanto prevede la Costituzione all’articolo 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ma nessun programma pedagogico può funzionare là dove non sono garantiti i bisogni primari. Quelli previsti dallo stesso Regolamento Penitenziario che indica gli spazi e le condizioni di vita che ogni istituto dovrebbe rispettare, ma che nella maggior parte dei casi restano ancora un miraggio.
Inoltre, questo sistema penitenziario, che infierisce sui condannati con ingiustificate pene aggiuntive mettendo a dura prova la loro salute fisica e mentale, piace poco alla Corte di Strasburgo. Inevitabili allora le ripetute condanne per violazione della Convenzione europea contro la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. A partire dalla storica sentenza del 2009 sul caso del detenuto bosniaco Sulejmanovic costretto a vivere in tre metri quadrati in una cella di Rebibbia fino a quella dello scorso febbraio che ha obbligato lo Stato italiano a risarcire con diecimila euro un disabile detenuto nel carcere di Parma dove le barriere architettoniche gli impedivano di muoversi.
E’ inutile. Perché non produce i benefici che promette.
Mettiamo da parte i ragionamenti compassionevoli e passiamo a egoistiche valutazioni di convenienza: prima o poi, con buona pace di chi vorrebbe chiudere tutte le celle e buttare via le chiavi, il carcerato tornerà in libertà. Converrebbe quindi che uscisse dalla prigione migliore di quando vi è entrato. Sarebbe un bene per tutti, cioè, che non tornasse a delinquere. Ebbene i dati statistici ci dicono che chi sconta la pena in strutture che noi siamo costretti a definire “modello”, ma che in altri paesi europei rientrerebbero nella normalità, è molto meno attratto dal crimine rispetto a chi ha vissuto esperienze peggiori. E di gran lunga inferiore è il tasso di recidiva di chi può usufruire di misure alternative rispetto a chi invece è costretto a restare dietro le sbarre. Si parla addirittura dello 0,2 per cento in confronto al 70 per cento.
Ma il dato, qui da noi, è totalmente ignorato: al 31 marzo 2012 i detenuti in semilibertà, affidamento in prova o ai domiciliari sono 9.453. Nel 2009 in Francia se ne contavano 123.349 e in Germania 120.000.
Non sono forse, tutte queste, buone ragioni per unirsi alla marcia? Chi se ne fosse convinto può trovare le informazioni sul sito dei Radicali Italiani.
Credit immagine a Shamballah / Flickr
A chi importa il sistema carcerario? Purtroppo finiscono in carcere persone che hanno il disturbo bipolare non diagnosticato e ALCUNI SI SUICIDANO , persone che spacciano droga e si fanno dai 10 ai 20 perchè pensavano di diventare meno poveri. Chi ruba e non è una persona violenta dovrebbero dargli multe salate col risarcimento e già questo è un CASTIGO. In carcere dovrebbero solo finire le persone che fanno violenza sia psicologica che fisica e basta! Tutti i nostri cari politici che rubano tutti i giorni dovrebbero confiscare loro tutti i beni e denaro che posseggono ed invece il poveretto che ruba un paio di scarpe fa 10 anni mentre lui se la passa perchè può permettersi gli avvocati
che lo fanno assolvere. Le guardie penitenziarie sono troppo poche rispetto al numero di carcerati e lavorano troppo, così vanno incontro allo stress………..