Come si compongono nel tempo le personalità umane? Cosa c’è di ereditario e cosa viene acquisito con l’esperienza? E poi, dal punto di vista emotivo, noi umani siamo veramente tanto diversi dagli altri mammiferi o, addirittura, da tutti gli altri viventi? Le ricerche di Jaak Panksepp e della sua scuola, presentate in questo volume da Kenneth L. Davis, sono rivolte a studiare, con le più moderne tecnologie a disposizione, i sistemi cerebrali emotivi primari alla base delle differenti personalità. I nuovi risultati sostengono l’ipotesi che l’emotività umana e animale abbia profonde componenti genetiche e venga successivamente modellata sia dall’ambiente, come sostiene l’epigenetica, sia dall’esperienza di vita – diversa per ogni organismo. Sono proprio le differenze emotive che portano ogni individuo a percepire e a reagire al mondo in modo diverso.
Le sette emozioni primarie
Fin dal 1998 Panksepp ha descritto sette risposte emotive primarie condivise da tutti i mammiferi e probabilmente, con modalità diverse, presenti in tutte le specie animali. “ricerca”, “rabbia”, “paura”, “cura”, “panico” (tristezza), “gioco” e “desiderio sessuale”, in parte ereditati e in parte appresi, costituiscono in ognuno i fondamenti affettivi della personalità, controllano ogni apprendimento e dirigono le interpretazioni percettive, i pensieri e le reazioni comportamentali. Questi sentimenti sono stati riscontrati anche in diverse specie animali e sperimentati usando tecniche impossibili da realizzare con esseri umani, attraverso modalità di stimolazione cerebrale profonda e la conseguente analisi delle relative scelte comportamentali. Sono state cosi definite delle Scale di valutazione della personalità delle neuroscienze affettive (ANPS) di cui i primi tre termini – “ricerca”, “rabbia” e “paura” – sono stati riscontrati nei rettili e persino nei pesci, mentre altri tre – “cura”, “panico” e “gioco” – sono più specifici dei mammiferi; i sistemi “ricerca”, “cura” e “gioco” sono considerati affetti gratificanti, “paura”, “rabbia” e “panico” sono invece affetti punitivi.
Fin dal 1998 Panksepp ha descritto sette risposte emotive primarie condivise da tutti i mammiferi e probabilmente, con modalità diverse, presenti in tutte le specie animali. “ricerca”, “rabbia”, “paura”, “cura”, “panico” (tristezza), “gioco” e “desiderio sessuale”, in parte ereditati e in parte appresi, costituiscono in ognuno i fondamenti affettivi della personalità, controllano ogni apprendimento e dirigono le interpretazioni percettive, i pensieri e le reazioni comportamentali. Questi sentimenti sono stati riscontrati anche in diverse specie animali e sperimentati usando tecniche impossibili da realizzare con esseri umani, attraverso modalità di stimolazione cerebrale profonda e la conseguente analisi delle relative scelte comportamentali. Sono state cosi definite delle Scale di valutazione della personalità delle neuroscienze affettive (ANPS) di cui i primi tre termini – “ricerca”, “rabbia” e “paura” – sono stati riscontrati nei rettili e persino nei pesci, mentre altri tre – “cura”, “panico” e “gioco”- sono più specifici dei mammiferi; i sistemi “ricerca”, “cura” e “gioco” sono considerati affetti gratificanti, “paura”, “rabbia” e “panico” sono invece affetti punitivi.
I Big Five rivisitati
Fin dal secolo scorso sono stati sviluppati molti e diversi sistemi di indagine sulla personalità, e sono stati elaborati numerosi tipi di test più o meno articolati attraverso i quali si analizzano le parole e i concetti con cui i soggetti descrivono il loro temperamento, con l’obiettivo di rivelarne aspetti patologici o clinici. A partire dalla analisi delle strutture lessicali usate, i test mettono in evidenza le modalità di vita, gli apprendimenti, le codificazioni della memoria e i sistemi emotivi di azione. Forse il sistema di test più importante e condiviso è quello chiamato dei Big Five, che attraverso l’analisi fattoriale misurano i molteplici bisogni e gli aspetti comportamentali dichiarati dai pazienti. I Big Five usano categorie simili a quelle individuate da Panksepp ma sono stati continuamente perfezionati, riadattati e modificati a seconda di scopi specifici, dagli importanti contributi di Mc Dougall, Murray, Horney, Sullivan e altri.
Secondo Panksepp, tuttavia, questi diversi sistemi non danno interpretazioni causali del comportamento, perché rispecchiano di solito una prospettiva top-down, cioè partono dall’analisi di una elaborazione cognitiva di tipo linguistico, in cui la comprensione e la descrizione dei propri sentimenti coinvolge in modo particolare la corteccia cerebrale del paziente e non tiene conto delle sue emozioni primitive. Panksepp propone di invertire questa gerarchia e riprende invece gli studi di MacLean, che distingue nel cervello tre parti con funzioni gerarchiche distinte, in cui gli impulsi “risalgono” dalle parti più antiche fino alla neo-corteccia, più recente.
Dal cervello rettiliano alla neo corteccia e ritorno
Secondo MacLean, la parte più antica del cervello dal punto di vista evoluzionistico è anche la più profonda in termini anatomici e viene definita “cervello rettiliano”, è pre-cognitiva e consente di rispondere rapidamente agli stimoli, al limite della consapevolezza. Su questa si è stratificato evolutivamente il “sistema limbico”, che regola la vita relazionale e permette di provare sentimenti; ai livelli superiori dell’anatomia e più recenti in termini di evoluzione si trova la “neo-corteccia”, con le capacità cognitive che ci distinguono dagli altri mammiferi e ci danno consapevolezza di noi stessi.
L’originalità della proposta di Panksepp sta proprio nel proporre una gerarchia bottom-top su basi evoluzionistiche, con un modello “nidificato” del Cervello-Mente a tre livelli, che tentano di individuare i nessi causali attivi in ogni sistema di comportamento. Alla base – down- come causa fondamentale sta il processo primario, generato dalle emozioni che si sviluppano nelle regioni sottocorticali profonde del cervello; questo permette l’apprendimento (livello secondario) che si sviluppa nella regione sopralimbica e che, a sua volta, consente la cognizione e la elaborazione del pensiero – top- nella neocorteccia cerebrale (terzo livello). La causazione è bidirezionale e circolare, e infatti la regolazione cognitiva – top – può modificare l’emotività del processo primario – down.
I circuiti sottocorticali affettivi, secondo Panksepp, sono fondamentali per la sopravvivenza e per i più complessi processi di apprendimento; sono quelli che, secondo il modello evolutivo di sviluppo proposto da MacLean, condividiamo non solo con gli altri mammiferi ma con tutti gli animali a cui siamo legati da miliardi di anni di evoluzione: lo studio comparato delle emozioni negli animali è diventato uno dei punti fondamentali delle neuroscienze affettive. Panksepp rintraccia anche nelle opere di Darwin una linea di pensiero che sostiene la sua ricerca: Darwin ha posto l’uomo in un continuum con gli altri mammiferi e, secondo quanto scrive ne “L’espressione delle emozioni” trova che le differenze con i nostri antenati non sarebbero di tipo ma semplicemente di grado.
Le ricerche di Panksepp e Davis presentate in questo volume riguardano anche il comportamento dei primati simili all’uomo e si integrano con quelle compiute sui macachi Rhesus, e ancora sui cani, sui ratti, sui pesci: sono descritte in capitoli che documentano ampiamente i loro sistemi emotivi, le loro capacità di giocare e, in particolare per i ratti, perfino il piacere manifestato quando lo sperimentatore fa loro il solletico.
Le voci ancestrali dei geni
La ricerca neurobiologica analizza le componenti genetiche di comportamenti animali selezionati attraverso opportuni incroci, individua caratteristiche epigenetiche studiando le relazioni tra natura e modalità di allevamento, studia gli effetti di neuro modulatori che agiscono sui sistemi sottocorticali profondi in diversi tipi di cervelli. La sperimentazione farmacologica è sempre guidata dall’idea di continuità tra l’uomo e le altre specie: le nostre radici ancestrali permettono di ipotizzare effetti positivi di sostanze studiate negli animali e trasferite nella terapia di disfunzioni psiconeurologiche umane. Nell’uomo, tecniche non invasive di neuroimaging, insieme a molti altri lavori sperimentali come quelli di Antonio Damasio, hanno confermato il ruolo delle strutture cerebrali sottocorticali nell’emergere delle emozioni rivelando che senza i sistemi affettivi sottocorticali si perde anche la coscienza cognitiva; e Ross Buck definisce le esperienze affettive grezze come “le voci ancestrali dei geni” esprimendo così il legame complesso tra esperienza emotiva e genetica.
Panksepp ritiene, inoltre, che se un istinto primario non è sufficientemente controllato, nella sua espressione estrema può portare a patologie comportamentali: lo squilibrio – anche biochimico- nei processi emotivi spiega molte psicopatologie umane. L’approccio bottom-up permette di toccare le radici di eventuali disfunzioni presenti a livello subcorticale e di costruire una sorta di alleanza tra lo psicoterapeuta e il paziente, affiancando una terapia affettiva alla tradizionale terapia cognitiva.
Per dare una idea delle scale di Valutazione della personalità nelle neuroscienze affettive, il libro si conclude riportando in appendice una versione delle ANPS, con il punteggio da assegnare ad ogni tipo di risposta. Ad una prima lettura alcune domande sembrano banali, altre non sembrano molto chiare, soprattutto quando tentano di quantificare l’emozione con avverbi come: tanto, poco, spesso, raramente… di rado. Comunque capire su che tipo di emozioni si basa la valutazione scientifica della personalità rappresenta, per un lettore inesperto, una esperienza interessante.
Il libro
Jaak Panksepp, Kenneth L. Davis
I fondamenti emotivi della personalità. Un approccio neurobiologico ed evoluzionistico
Raffaello cortina Editore, 2020
pp. 386, € 36,00
NOTA di approfondimento
Senza voler sminuire l’importanza fattuale del percorso bottom up proposto da Panksepp che mette alla base dei comportamenti gli aspetti emozionali, è importante ricordare che il modello di cervello a cui la sua impostazione fa riferimento è in profondo contrasto con le teorie evolutive oggi alla base del pensiero biologico. Le strutture cerebrali non si sono sviluppate “a strati sovrapposti” come suggerisce MacLean, ed è ormai fuori discussione il fatto che gli organismi non si sono evoluti seguendo una gerarchia “dal semplice al complesso” per semplice sovrapposizione di parti. Ogni specie ha la sua storia, porta tracce genetiche delle specie da cui è derivata, e la conservazione di questi geni si è affiancata nel tempo a complessi meccanismi di mutazione che ne hanno modificati altri, offrendoli alla selezione fisiologica e all’ambiente che hanno permesso ai vari individui di avere o non avere discendenza. Con questi meccanismi di conservazione e di cambiamento, apparentemente antagonisti, hanno origine le specie, ciascuna diversa dall’altra, ma l’innovazione nel patrimonio genetico non si organizza in scale di maggiore o minore valore evolutivo: la complessità non si conquista col tempo. Dunque i modelli di evoluzione a strati, per realizzare miglioramenti, non sono più credibili e vengono smentiti dalle attuali conoscenze genetiche e neurofisiologiche. Sappiamo infatti che nei cervelli di pesci e rettili vissuti circa 600 milioni di anni fa si trovano le prime strutture funzionali di quella corteccia primitiva che si svilupperà fino a formare una parte predominante del cervello umano. Dal punto di vista molecolare, poi, sappiamo che nel DNA umano sono integrati geni funzionali ereditati da organismi antichissimi tuttora presenti nel nostro ambiente, come i lieviti monocellulari e, smentendo il modello di MacLean, si è visto che l’espressione genica dei neuroni corticali di tartarughe e lucertole presenta interessanti somiglianze e differenze con quella dei mammiferi.
Articolo modificato il 10 novembre 2020.