Le sacre scritture, che siano cristiane, ebraiche, musulmane, indù o buddiste, esortano i medici a prendersi cura dei meno fortunati. Eppure i dottori che si autodefiniscono religiosi e che descrivono la propria professione come una “chiamata”, sembrano essere i meno propensi a esercitare per beneficenza. Uno studio pubblicato su Annals of Family Medicine riporta, infatti, che appena il 31 per cento di medici devoti prestano servizio volontario tra le persone indigenti, contro il 35 per cento dei medici che si dichiarano non credenti o agnostici.
L’indagine, guidata da Farr Curlin dell’Università di Chicago e condotta insieme a ricercatori dello Yale New Haven Hospital, ha coinvolto oltre 1100 medici statunitensi di tutte le specializzazioni. Tra le varie domande, che miravano a comprendere l’importanza della religione e del valore della carità, si chiedeva ai medici se fossero d’accordo con le affermazioni “cerco di portare avanti le mie convinzioni religiose a ogni costo, che hanno la priorità su ogni altra cosa della mia vita”e “tutta la mia vita è basata sulla mia religione”. I ricercatori hanno poi chiesto loro quanto spesso prestano servizi in linea con i dettami religiosi.
Solo il 26 per cento dei medici ha riportato che i loro pazienti sono soprattutto rappresentati da persone indigenti. Questi dottori sono generalmente giovani e obbligati a lavorare presso le comunità di poveri per conto dei centri universitari, ricevendo come pagamento il saldo di un prestito. Chi non presta servizio volontario adduce una lista di motivi: dalla riduzione dei salari e delle risorse, alla rinuncia del prestigio professionale. E non ultima, l’intromissione continua della burocrazia.
I dati indicano però che chi si autodefinisce “spirituale”, anche se non religioso, si dedica alle comunità di poveri molto più degli altri. Secondo i ricercatori, questa distinzione tra spiritualità e religione può essere fatta risalire alla spaccatura tra il protestantesimo liberale, che all’inizio del Ventesimo secolo si scagliava contro le ingiustizie sociali, e la chiesa ortodossa dei conservatori. La maggior parte di chi si considera spirituale, più che religioso, ha ricevuto infatti un’educazione di tipo liberale. (t.m.)