Probabilmente avete sentito dire da qualcuno che la memoria dei pesci duri pochi secondi, o che i pesci non possano provare dolore. Sono entrambe falsità. E tuttavia, per qualche ragione, i pesci sono il principale riferimento per affermazioni di questo tipo – si pensi, per esempio, al famoso motto “essere sano come un pesce”.
Tutto questo dipende, forse, dal fatto che i pesci sono così diversi da noi. Sembrano non avere alcuna capacità di modificare la propria espressione facciale, né di comunicare con la voce. Addirittura, respirano in modo differente rispetto agli esseri umani. Nel complesso, queste differenze fanno sì che percepiamo i pesci come creature così diverse da noi da far fatica a “relazionarci” con loro.
Tuttavia, da quando gli scienziati hanno iniziato a condurre esperimenti per comprendere meglio il mondo dei pesci – la loro neurobiologia, la loro vita sociale e le loro facoltà mentali – si è scoperto più e più volte che i pesci sono più complessi di quanto si possa pensare. E che hanno molte più cose in comune con noi di quanto pensassimo.
Per la mia attività di ricerca lavoro spesso con il pesce zebra, l’equivalente acquatico del topo da laboratorio. Ed ecco cinque cose affascinanti che io e altri ricercatori abbiamo scoperto su questa specie.
Invecchiando, anche i pesci perdono la memoria
Quando invecchiamo, la nostra memoria tende a diminuire. Gli scienziati lavorano per comprendere la biologia del declino cognitivo al fine di prevedere come aiutare le persone a invecchiare meglio e di sviluppare trattamenti per disturbi come la malattia di Alzheimer e la demenza.
Negli esseri umani, la memoria di lavoro – il processo mentale di cui ci serviamo per svolgere le operazioni di tutti i giorni – declina con l’invecchiamento. Io e i miei colleghi abbiamo scoperto qualcosa di simile studiando i pesci zebra a 6 e 24 mesi d’età, mentre nuotavano in un labirinto a forma di Y.
Abbiamo scoperto che i pesci più anziani hanno più difficoltà a completare il labirinto rispetto ai pesci più giovani. Inoltre, quando abbiamo progettato un esercizio analogo per gli esseri umani (in un labirinto simulato al computer) abbiamo osservato che gli ultrasettantenni soffrivano delle stesse difficoltà dei pesci.
Anche i pesci possono diventare tossicodipendenti
Ai pesci piace davvero la droga. I biologi Tristan Darland e John Dowling, della Harvard University, negli Stati Uniti, hanno scoperto che il pesce zebra apprezza molto la cocaina: lo hanno scoperto in un esperimento in cui facevano penzolare la sostanza nell’acquario, osservando i movimenti dell’animale. La preferenza per la cocaina è inoltre un tratto ereditario: la progenie dei pesci con un “debole” per la droga tende a trasmetterla ai propri figli. E anche questo è stato riscontrato negli esseri umani.
E ancora: i pesci zebra mostrano comportamenti di ricerca compulsiva di droga simili a quelli assunti da persone con problemi di tossicodipendenza. Il gruppo di ricerca di Caroline Brennan, alla Queen Mary University di Londra, ha scoperto che i pesci tollerano perfino essere cacciati con un retino se la ricompensa è la cocaina.
Lavorando con il gruppo di Brennan e con Pfizer, abbiamo testato diverse altre sostanze – oppioidi, stimolanti, alcool e nicotina – per capire se possiamo imparare qualcosa dal pesce zebra sull’abuso di farmaci. E abbiamo scoperto che potevano diventare dipendenti da tutti loro.
Curiosamente, l’unica sostanza per cui non sviluppano dipendenza è il Thc, il principale componente psicoattivo della cannabis. Gli zebrafish non diventeranno mai grandi hippie.
I pesci ricordano i propri amici
Probabilmente sapete già che i pesci sono animali sociali. Quando si muovono in branco, possono sincronizzare il loro comportamento in modo collettivo cosicché ogni individuo “rispecchi” i movimenti del proprio vicino e il gruppo si muova all’unisono. Quello che invece probabilmente non sapete è che ciascun pesce riesce a riconoscere un altro pesce del proprio branco, di solito dall’odore. I pesci giovani preferiscono la compagnia dei parenti, ma man mano che invecchiano le femmine adulte preferiscono maschi sconosciuti a femmine di famiglia, il che aiuta a prevenire gli incesti. I pesci conservano questa memoria per circa 24 ore, preferendo poi avvicinarsi a un nuovo pesce anziché a quello con cui sono appena stati: questo mostra che i loro ricordi sociali sono forti, molto più dei proverbiali “tre secondi”.
I pesci sentono dolore
Nel 2003, i biologi Victorna Braithwaite e Lynne Sneddon, che all’epoca lavoravano per la University of Edinburgh e per il Roslin Institute, hanno versato dell’acido nelle labbra delle trote. I pesci hanno mostrato le classiche risposte al dolore: si sono allontanati, hanno sfregato le labbra contro il bordo della vasca, hanno accelerato la loro respirazione; questi comportamenti sono scomparsi completamente dopo la somministrazione di un antidolorifico.
Una domanda però resta: come fanno i pesci a provare dolore? Cosa significa, per loro, il dolore? Il dolore non è solo la percezione di un evento fisico – un pestone sul piede, per esempio. È spesso anche un’esperienza emotiva. Alcuni ricercatori sono convinti che il pesce non provi questo tipo di dolore, sostanzialmente sostenendo che sebbene provino dolore non sono in grado di elaborare una risposta emotiva a quel dolore, e che quindi la loro sofferenza dovrebbe pesarci di meno. E questo – dicono – avviene perché ai pesci manca quella parte del cervello che, negli esseri umani e negli altri invertebrati, è associata all’esperienza mentale del dolore.
Ma queste argomentazioni non sono del tutto convincenti. Decenni di lavoro mostrano che in natura esistono tutti i tipi di forme, dimensioni e organizzazioni del cervello, e che si osservano molti comportamenti complessi anche in animali a cui mancano le strutture cerebrali con cui essi sono legati negli esseri umani e in altri primati.
In effetti, sembra che le strutture cerebrali possano essere meno importanti di quel che pensiamo, e pertanto i pesci potrebbero avere un’esperienza del mondo più sofisticata di quanto immaginiamo anche se il loro cervello è molto diverso dal loro.
I pesci possono essere impazienti
Nel mio laboratorio siamo molto interessati al cosiddetto “controllo degli impulsi”, ossia alla capacità di pianificare il proprio comportamento e aspettare il momento migliore per passare all’azione. Lo scarso controllo degli impulsi è un tratto riscontrato in persone con diverse condizioni psichiatriche, tra disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, dipendenze o disturbo ossessivo compulsivo.
Abbiamo addestrato dei pesci zebra, per diverse settimane, usando una vasca costruita ad hoc per questo esperimento. In ogni prova i pesci dovevano aspettare che si accendesse una luce all’estremità opposta della vasca prima di poter accedere a un’altra “camera” che conteneva del cibo. Se avessero nuotato troppo presto, il cibo gli sarebbe stato sottratto e avrebbero dovuto ricominciare tutto dall’inizio. Abbiamo visto enormi variazioni nella capacità individuale di aspettare: alcuni erano molto impazienti, altri sembravano non curarsi troppo dell’attesa. Abbiamo perfino osservato che un farmaco usato per curare il deficit dell’attenzione rendeva i pesci meno impazienti.
Per tutte queste ragioni, la prossima volta che vedrete un pesce pensateci due volte prima di liquidarlo come un robottino acquatico buono al massimo per il sushi.
Articolo orginale pubblicato su The Conversation in Creative Commons, traduzione a cura della redazione di Galileo.
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