Sono i protagonisti indiscussi della moda e della pubblicità: donne e uomini bellissimi che sfoggiano corpi mozzafiato sulle copertine delle riviste o sui cartelloni pubblicitari che soffocano le nostre città. Ma dietro quelle silhouette da far invidia c’è un trucco neanche troppo nascosto: il fotoritocco. Grazie alle moderne tecniche di photo editing, ormai non è più un problema tagliare un po’ di ciccia dove sembra essercene di più o tirare la pelle del viso per farla sembrare quella di un bambino. Un fenomeno frivolo? Non solo. Il mondo patinato e perfetto fa nascere nelle persone (adulti e adolescenti) uno stato psicologico di insofferenza verso sé stessi e il proprio corpo, che spesso conduce all’insorgere di disturbi alimentari.
Ecco perché molte nazioni – tra cui Gran Bretagna, Francia, Norvegia e Stati Uniti – invocano leggi sul foto ritocco, chiedendo di etichettare le immagini modificate come fossero prodotti alimentari contraffatti. La stessa American Medical Association, a giugno, aveva esortato i pubblicitari a lavorare con gli esperti per definire gli standard di ritocco oltre i quali non bisogna spingersi. Ma qual è il limite invalicabile? Prima di stabilirlo, è bene costruire una scala di misurazione dell’alterazione dell’immagine. Lo hanno fatto Eric Kee e Hany Farid, due ricercatori del Dartmouth College (UK) esperti nell’analisi forense delle immagini digitali.
Spinti dal dibattito scoppiato in Gran Bretagna sul tema, i ricercatori hanno sviluppato un modello computerizzato in grado di assegnare a ogni foto un punteggio in base all’entità del ritocco. “ Il legislatore inglese è stato criticato per il tipo di strumento che vuole introdurre: un’etichetta che dica se la foto è o no ritoccata – ha spiegato Farid – ma tutti ormai sanno che le immagini della moda e della pubblicità lo sono. Il problema è capire quanto”. Ecco perché i ricercatori hanno elaborato una vera scala di valutazione compresa tra uno a cinque, cioè da innocui ritocchi come il bilanciamento del bianco a interventi più massicci come la riduzione della silhouette tagliando qua e là.
La scala, come si legge nello studio pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas), è stata creata analizzando 468 coppie di foto pre- e post- ritocco. Il modello matematico elaborato per l’analisi si basa su otto variabili che descrivono forma, colore e trama dell’immagine. Quattro si riferiscono all’alterazione dei pixel del viso e del corpo dei soggetti fotografati, mentre altri quattro alle correzioni eseguite per rendere le immagini più nitide o ad aggiustamenti nel colore. Per validare la scala così ottenuta, i ricercatori hanno reclutato 390 persone attraverso Amazon’s Mechanical Turk, il sito dove è possibile cercare volontari per svolgere compiti di ricerca in cambio di un piccolo compenso.
Agli osservatori è stato quindi chiesto di giudicare il grado di ritocco delle stesse 468 coppie di fotografie: il punteggio umano e computerizzato correlavano in modo molto stretto nell’80% dei casi. “ Ora abbiamo una misura matematica del foto ritocco che predice il giudizio di un osservatore in carne e ossa”, ha commentato Farid.
I ricercatori non si sono spinti nello stabilire il limite invalicabile della scala perché, a loro parere, è un giudizio che deve esprimere la società, non la matematica. Ma hanno comunque fornito uno strumento obiettivo (che già cercano di implementare con l’analisi di un numero sempre maggiore di foto) per iniziare a ragionare sul limite stesso. Farid sta anche lavorando con Kevin Connor, manager dell’Adobe, per creare un plug-in per Photoshop che permetta di rendersi conto in tempo reale di quanto si sta ritoccando un’immagine. Un avvertimento per i grafici che si spingono troppo in là.
Via: Wired.it
Credits immagine: Kee & Farid/PNAS