Leggendo i suggerimenti e i consigli che un medico “giusto” come Giorgio Macellari, senologo, bioeticista e membro del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi, viene voglia di dimenticare le piccole umiliazioni subite nel percorso terapeutico, le stressanti attese di notti al pronto soccorso, la disumanità di certi hospices, le sgarberie di un personale frettoloso, nella speranza che un medico possa finalmente ascoltare quanto avremmo da digli. E viene voglia di domandarsi se, come pazienti, abbiamo rispettato il decalogo dei doveri della persona malata chiedendoci anche se i medici hanno, a loro volta, rispettato i nostri diritti.
Una doppia realtà in medicina

In realtà anche il medico giusto è perfettamente consapevole della doppia realtà in cui vivono da una parte i medici e dall’altra i pazienti, spesso tenuti lontani gli uni dagli altri da inefficienze e disinformazioni. Con serenità ed esperienza professionale Giorgio Macellari si rivolge ai suoi “cari colleghi”, soprattutto giovani, provando ad insegnare loro le regole basilari della professione, che non riguardano solo l’acquisizione di competenze tecniche, quanto la capacità di “avere cura” dei propri assistiti. Nella auspicata trasformazione della relazione medico-paziente è infatti necessario che il medico sappia guadagnarsi la fiducia del malato, per poter operare di comune accordo nell’identificazione di una eventuale malattia e attivare una positiva collaborazione per curarla.
Medico reale, medico ideale
Le raccomandazioni di Macellari tendono ad avvicinare la figura del medico reale a quella del medico ideale, notando che nella preparazione dei giovani si dà troppo poco peso al modo di sapersi occupare del malato come persona, rispettando non solo il suo male ma soprattutto le sue paure, le sue incompetenze, le sue speranze, il suo disagio in una situazione sconosciuta. L’etica definisce che cosa è il bene, ma purtroppo non dà indicazioni precise su come conseguirlo: non ci sono leggi esplicite né obblighi o divieti precisi. Questi “spuntano fuori in modo istintivo e inafferrabile, (…) possiamo assecondarli o trascurarli” ma sempre ci permettono di distinguere le cose che bisogna fare da quelle che non bisogna fare. Soprattutto ci ricordano che non tutto quello che l’uomo può fare è buono. L’etica è anche pluralista, nel senso che non esistono dottrine morali che postulano un bene assoluto, valido per tutti e per sempre: ogni bene deve essere scelto, nelle circostanze, nelle culture, nelle persone. Inoltre, neppure il bene può essere fatto senza il consenso della persona che dovrebbe riceverlo. Questo ultimo punto è particolarmente importante, e deve essere rispettato anche se spesso le persone “che sanno”, come i medici, sono spesso portate a imporre sugli altri azioni conseguenti al loro sapere.
La volontà del paziente
Macellari insiste, in ogni occasione, sul necessario rispetto delle volontà della persona, anche se malata, anche se a rischio, anche se rifiuta quello che, secondo l’esperienza, è necessario alla sua guarigione. Ma non si tratta di “voltarle le spalle e lasciarla perdere”: si tratta invece di attivare pazienti argomentazioni di convincimento, di mediazioni, di suggerimenti tentativi, sempre nel rispetto della volontà dell’altro. Infatti, dopo pochi capitoli che danno ai giovani colleghi dei suggerimenti su come conquistare la fiducia dei malati, ecco che si affrontano le difficolta di spiegare e capire cosa sia un vero consenso informato, per assicurarsi che il paziente sia veramente autonomo e in grado di gestire i suoi diritti, anche contro il parere contrario del curante.
Gestire il fine vita
Sempre nel rispetto della autonomia del malato, Macellari affronta problemi complessi, che per giunta si modificano con lo sviluppo di tecnologie sempre più aggiornate: che vuol dire accanimento terapeutico? Cosa comporta il rifiutarlo? Che differenze ci sono tra eutanasia e suicidio assistito? E, in ogni caso, cosa vale la volontà del malato? Proprio per aiutare le persone a sostenere le proprie decisioni, un intero capitolo spiega come sottoscrivere direttive anticipate di fine vita, come eventualmente cambiarle, come farle rispettare nelle situazioni più disperate.
Medico e obiettore
Macellari guarda anche la situazione dei medici: cosa comporta l’obiezione di coscienza? Cosa si è comunque obbligati a fare in caso di rischio grave del paziente? Quanto abuso – tollerato – si può riscontrare in situazioni in cui si ostacola l’aborto volontario? L’etica individuale può entrare in conflitto con l’etica professionale? E ancora: è accettabile la medicina difensiva o è solo un pretesto per nascondere ignoranza o disimpegno?
Il caso clinico
Problematiche anche scottanti vengono trattate da Macellari con competenza e responsabilità, guidato dalla duplice speranza che i giovani colleghi traggano da questi suggerimenti la forza per esercitare onestamente il loro difficile lavoro, e che i pazienti siano meno sfiduciati verso i curanti, più attenti nei confronti delle loro stesse malattie. I lettori vengono a loro volta messi alla prova: alla fine di ogni capitolo vene presentato un caso clinico, reale o fittizio, su cui dare la propria opinione, e solo alla fine del volume viene spiegato come il caso sia stato effettivamente risolto. Per esempio, si commenta come si è concluso il caso Welby nel conflitto tra autonomia e paternalismo beneficante di chi all’autonomia si opponeva, o il caso di Martina, colpita da sclerosi multipla, che ha citato in giudizio per tortura l’Azienda Sanitaria in quanto continua ad esserle negato il consenso per un suicidio assistito. Nel non-rispetto della sua sofferenza, le sono stati infatti consigliati antidolorifici potenti che le toglierebbero però lucidità di ragionamento e decisione.
Una visione etica della medicina
Negli ultimi capitoli Macellari sintetizza la sua visione etica della medicina, ricordando come, accanto al dolore fisico sia necessario prendere a cuore anche la sofferenza psichica della persona: le sue paure, le sue incertezze, il suo sgomento. L’estrema variabilità mentale con cui ciascuno di noi risponde alla malattia dipende da fattori che poco hanno a che fare con cellule e tessuti, ricorda l’autore; quindi, non c’è un unico metodo giusto e sicuro per affrontare le varie situazioni. Per ogni caso, un’etica laica spinge a trovare un accordo tra una concezione scientifico-razionale concentrata su ciò che bisogna riparare e una concezione empatico-relazionale attenta alla sofferenza anche psichica del paziente. In conclusione, dalla situazione generale emerge un caso clinico che riguarda, questa volta, il Servizio Sanitario Nazionale, con tutte le sue carenze economiche e professionali, spesso frammentato in percorsi sanitari incomunicabili, spesso soppiantato dalla medicina privata che offre sia tempi di attesa inferiori sia costi superiori a quelli del servizio pubblico.
Salute e ambiente
Particolarmente problematiche e provocatorie sono proprio le ultime due pagine del libro in cui Macellari pone una correlazione tra salute dell’individuo e contesto ambientale, e individua quattro pilastri su cui costruire una società etica: istruzione, sanità, legge, lavoro. Ma pone anche una domanda molto molto importante: come mai la classe dirigente politica è esente da oneri di prova che attestino un chiaro curriculum formativo specifico per quel ruolo che ciascuno dei suoi membri è chiamato ad onorare? A lavoratori di tutti i tipi e di ogni livello la società chiede una certificazione a garanzia del saper fare ciò che dicono di saper fare: perché la nostra classe politica gode di una immunità così ampia (e così illogica)? Perché alla classe politica si richiede di maturare competenze sbagliando, cioè facendo errori di cui fanno le spese cittadini innocenti? Applicando i principi dell’etica medica alla classe dirigente, conclude Macellari, ci sarebbe la speranza che questa potrebbe meritare la fiducia delle persone e forse, con questa premessa, malati, medici, cittadini e governanti potrebbero tutti stare meglio.
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