Addio silicio, benvenuto carbonio. Almeno per quanto riguarda il cuore di tutti i nostri dispositivi digitali. A segnare il possibile inizio di una nuova era sono stati i ricercatori di Stanford, che, come affermano in un lavoro pubblicato su Nature, hanno costruito un computer che funziona usando nanotubi di carbonio, un materiale semiconduttore che promette prestazioni migliori – e minore consumo di energia – rispetto ai tradizionali chip in silicio. Un risultato a lungo inseguito dai ricercatori di mezzo mondo, ancora non raggiunto a causa di diverse difficoltà nella produzione dei nanotubi. Nel loro lavoro, gli scienziati di Stanford affermano di averle superate: “Si parlava a lungo di una nuova era dell’elettronica, basata sull’utilizzo di nanotubi di carbonio”, spiega Subhasish Mitra, ingegnere elettrico e informatico alla Chambers Faculty Scholar of Engineering. “Ma finora ci sono state pochissime dimostrazioni di sistemi digitali completi che usano quest’entusiasmante tecnologia. Noi ne abbiamo fornito una prova”.
Verrebbe da chiedersi cosa ci sia che non va nel silicio. Il problema è che, negli ultimi decenni, gli sforzi di fisici e ingegneri elettronici si sono concentrati nel rimpicciolimento dei transistor, per poterne impacchettare sempre di più all’interno di un chip: diventando più piccoli, questi richiedono più energia e generano più calore. Il che può rivelarsi un grande problema, dal momento che le alte temperature riducono drasticamente la vita delle componenti elettroniche. I nanotubi di carbonio, invece, sono già piccoli – si tratta sostanzialmente di lunghe catene di atomi di carbonio, estremamente efficienti nella conduzione e nel controllo dell’energia elettrica – e quindi sono parzialmente immuni dal problema del surriscaldamento.
Tuttavia, come dicevamo, una serie di imperfezioni produttive ha sempre scoraggiato la comunità scientifica e la grande industria dallo sviluppare questa tecnologia. Il primo di queste riguarda il disallineamento: i nanotubi, infatti, non sempre crescono in linee parallele come piacerebbe ai produttori di chip. Nel corso degli anni, i ricercatori hanno ideato metodi per ottenere il 99,5% di precisione nel posizionamento dei nanotubi; ma, dato che si parla di miliardi di catene per chip, anche un piccolo grado di disallineamento può causare gravi errori. La seconda limitazione è legata al fatto che una frazione di nanotubi, sempre per problematiche riguardo alla loro crescita, tende a comportarsi come un filo metallico (sempre conduttore, dunque) anziché come un semiconduttore (in cui il passaggio di corrente può essere regolato).
Per aggirare quest’ultimo problema, i ricercatori hanno spento tutti i nanotubi buoni e hanno quindi pompato elettricità nel circuito. Tutta la corrente si è concentrata sui nanotubi simil-metallici, che sono diventati così caldi da esplodere e letteralmente vaporizzarsi in nuvolette di anidride carbonica. In questo modo, sono stati eliminati tutti i nanotubi difettosi. Il problema del disallineamento, invece, ha richiesto un ingegno maggiore: gli scienziati hanno creto un algoritmo in grado di disegnare un layout del circuitoin grado di garantire sempre il suo funzionamento, indipendentemente dalla presenza o meno di nanotubi male allineati.
Per questo motivo, la tecnica è stata definita dai suoi stessi creatori come immune da imperfezioni. Il computer costruito dai ricercatori, in effetti, ha funzionato senza problemi: si tratta di un modello molto rudimentale, dotato di 178 transistor, in grado di contare e ordinare numeri e dotato di un sistema operativo che permette di passare da un’attività all’altra. Ora non c’è che da andare avanti con la ricerca e cercare di “portare i nanotubi di carbonio dai laboratori di chimica al mondo reale”, come ha chiosato Supratik Guha, direttore dell’Ibm Research Center e esperto mondiale nel campo.
Via: Wired.it
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Una perplessità: non potrebbe essere che chip basati su nanotubi siano troppo vulnerabili ai neutrini oppure a flussi di particelle cosmiche?