Ridurre il consumo di carne rossa e carne processata, quella che fa più male, non apporterebbe particolari benefici in termini di salute. Lo si leggeva in uno studio, di cui abbiamo parlato recentemente, pubblicato nell’ottobre 2019 sugli Annals of Internal Medicine. La pubblicazione forniva nuove linee guida sul consumo di queste carni, con risultati controcorrente rispetto a molte ricerche, che suggeriscono invece l’importanza di ridurne i consumi.
Ma oggi il paper torna a far parlare di sé: un articolo sul Washington Post racconta che il 31 dicembre 2019 gli autori della ricerca hanno aggiunto una correzione, sempre sugli Annals of Internal Medicine, dichiarando di aver ricevuto un finanziamento da AgriLife Research. Questo ente di ricerca è una divisione, appartenente alla vastissima Texas A&M University, parzialmente sostenuta dall’industria della carne. Il finanziamento è destinato non allo studio sulla carne ma a una nuova meta-analisi sui grassi saturi. La notizia ha richiamato l’attenzione dei media e il Washington Post riporta il sospetto di qualcuno secondo cui questo conflitto d’interessi potrebbe influenzare lo studio e i risultati. Ecco com’è andata.
Carne rossa e lavorata, un caso controverso
Nell’ottobre 2019 usciva il paper sugli Annals of Internal Medicine con le nuove linee guida sul consumo di carne rossa e della carne lavorata. Il paper aveva risvegliato l’interesse di molti, dato che non consigliava, come molti studi, di ridurre l’assunzione di queste carni, ma indicava che “la maggior parte degli adulti (ma non tutti) possono continuare ad assumerle seguendo le loro abitudini medie” e che “non ci sono prove stringenti che carni rosse o lavorate causino queste patologie”, quali tumori, diabete e malattie cardiovascolari. Secondo gli autori eliminare del tutto queste carni potrebbe non avere un senso, in termini di salute, mentre un consumo medio potrebbe non essere nocivo.
In generale lo studio ha riacceso il dibattito della comunità scientifica, soprattutto per quanto riguarda le carni processate, inserite dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) fra i cancerogeni certi, nel gruppo 1.
La correzione
Insomma, la ricerca ha riaperto un’annosa questione. E, dopo la sua pubblicazione, arriva un’altra notizia che fa discutere: il 31 dicembre 2019 gli autori aggiungono una precisazione e dichiarano, come si usa sempre nelle ricerche, di aver ricevuto un finanziamento di 76.863 dollari da AgriLife Reaserch.
Ma perché non scriverlo prima, al momento della pubblicazione? Christine Laine, direttore della rivista Annals of Internal Medicine, ha spiegato che al momento della pubblicazione agli editori non era nota la presenza di questo grant. E che, quando rivelato il collegamento, il primo autore dello studio, Bradley Johnston era d’accordo sulla correzione. E Laine aggiunge “Ritirare la pubblicazione? No. Molti trial su farmaci ricevono finanziamenti dalle industrie. Il conflitto di interessi è soltanto una delle potenziali sorgenti di bias”. Mentre Holly Shive, spokeswoman di AgriLife Research, ha dichiarato che l’ente è un’agenzia di stato affiliata con un’istituzione accademica e che pertanto l’indicazione del grant non era necessaria
I sospetti
Nonostante il finanziamento sia per un’altra ricerca, e non per quella sulla carne, il dubbio è che i ricercatori siano portati a mostrare che i grassi saturi siano innocui se non addirittura salutari per favorire l’azienda: questo è quanto riferito sul Washington Post dal ricercatore Neal Barnard, che ha spinto alla correzione e che è presidente del Physicians Committee for Responsible Medicine, un’organizzazione no-profit che promuove la scelta di un’alimentazione a base vegetale. Anche Marion Nestle, docente in pensione di nutrizione alla New York University, che si è a lungo occupata del tema, concorda che dall’esterno la percezione potrebbe essere quella per cui AgriLife dipenda dall’industria della carne e che abbia concorso a stendere linee guida meno restrittive.
Via: Wired.it
Credits immagine: Mike Foster da Pixabay
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