No, il decreto Balduzzi sulla sperimentazione del metodo Stamina non lede i diritti inviolabili, il diritto alla salute e quello alla pari dignità e all’uguaglianza di fronte alla legge dei cittadini italiani, cioè gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione italiana. A stabilirlo è stata la Corte Costituzionale, con al sentenza n. 274 depositata il 5 dicembre scorso, intervenuta su richiesta del Tribunale di Taranto che aveva sollevato il dubbio di incostituzionalità del decreto nel corso di una causa intentata da un malato che voleva avere accesso al trattamento di Vannoni. Secondo i giudici di Taranto, limitando l’accesso al metodo Stamina solamente ai pazienti che all’epoca avevano già iniziato le infusioni il decreto Balduzzi ledeva il diritto all’accesso alle cure degli altri malati. Una lettura bocciata oggi dai giudici della Consulta, che nelle motivazioni della sentenza fanno riferimento a un nodo centrale, e cioè che dovrebbe essere la scienza, e non i giudici o i politici, a valutare l’opportunità di utilizzare una nuova terapia medica.
Scrivono infatti i membri della Consulta: “Decisioni sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non potrebbero nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore, bensì dovrebbero prevedere l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali e sovranazionali – a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che a questi fini rivestono gli organi tecnico-scientifici”.
Secondo la Consulta, il decreto Balduzzi derogava parzialmente dai principi appena espressi, e di fatto obbligava illegittimamente a dare il via alla sperimentazione di un farmaco ponendone “anticipatamente a carico di strutture pubbliche la somministrazione”, ma lo faceva intervenendo in una situazione particolare, che vedeva i trattamenti di Stamina già avviati per iniziativa di vari giudici che avevano ordinato a strutture pubbliche (gli Spedali Civili di Brescia) di effettuarli.
Oltre a valutare legittimo il decreto, la sentenza della Corte Costituzionale contiene anche un secco stop a nuove autorizzazioni al trattamento. Le circostante straordinarie che avevano indotto a suo tempo a non sospendere i trattamenti già iniziati infatti, “non ricorrono, dunque, nei riguardi di altri pazienti che quel trattamento successivamente chiedano che sia loro somministrato. In relazione a detti soggetti non trova, infatti, giustificazione una deroga al principio di doverosa cautela nella validazione e somministrazione di nuovi farmaci”.
Dopo il blocco della sperimentazione, deciso a novembre dal Ministero della Salute in seguito al parere del comitato scientifico chiamato a valutarne l’opportunità, la sentenza della Corte Costituzionale potrebbe dunque mettere definitivamente la parola fine all’utilizzo della controversa terapia di Vannoni nel nostro Paese.
via Wired.it
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