Sono oltre 25 i paesi colpiti dal Coronavirus Sars-Cov-2, compresa l’Italia che al momento è prima in Europa per numero di contagiati. Ma resta fortunatamente isolato l’unico caso registrato in Egitto lo scorso 14 febbraio. Nel continente africano non sono stati accertati altri episodi di contagio, ma esiste il rischio concreto di importare prima o poi il virus. Lo conferma uno studio realizzato dall’Inserm, l’Istituto francese per la salute e la ricerca medica. I ricercatori guidati dall’italiana Vittoria Colizza hanno identificato per ciascuno stato africano la probabilità di fare entrare il virus e l’idoneità a gestire anche piccoli focolai epidemici. Alcuni paesi non sarebbero infatti attrezzati per contenere l’epidemia, causa la mancanza di organizzazione e infrastrutture adeguate. Ma i risultati pubblicati su Lancet non sono del tutto negativi. A fronte dei paesi più vulnerabili, ce ne sarebbero altri particolarmente a rischio di importare il virus, ma anche con la maggiore capacità di rilevare e contenere i contagi.
Un continente a rischio
Da quando è scoppiata l’epidemia di coronavirus, che ha contagiato oltre 77.000 persone e causato circa 2500 morti, le autorità internazionali hanno espresso preoccupazione per la situazione africana. I fragili sistemi di sanità pubblica e il volume dei viaggi di affari da e per la Cina, che sono aumentati del 600% negli ultimi dieci anni, rendono l’Africa particolarmente vulnerabile alla diffusione del coronavirus. E sebbene l’unico caso accertato sia quello in Egitto, il numero dei contagi potrebbe essere sottostimato. Alcuni paesi, infatti, non hanno ancora la possibilità di testare e diagnosticare la Covid-2019. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) in queste settimane ha cercato di garantire al maggior numero di stati africani le attrezzature per eseguire il test del coronavirus. “Entro la fine della settimana, 40 paesi africani e 29 paesi delle Americhe avranno la possibilità di testare e diagnosticare autonomamente in 24-48 ore la Covid-19”, ha dichiarato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, in conferenza stampa a Ginevra lo scorso 18 febbraio.
La capacità di diagnosticare la malattia rappresenta un grosso passo in avanti, ma la gestione dei pazienti rimarrebbe comunque problematica. Circa il 20% sviluppa sintomi gravi e richiede ospedalizzazione e assistenza intensiva e continuativa. Abbastanza da mettere in crisi i sistemi sanitari più deboli.
Se il coronavirus arriva in Africa
L’Africa è dunque una sorvegliata speciale, che gli esperti mantengono sotto stretta osservazione. Tra questi c’è Vittoria Colizza, epidemiologa romana a Parigi, con il suo gruppo di ricerca all’Inserm. Il suo lavoro, racconta in un’intervista al Messaggero, consiste nello sviluppare studi sulle modalità di propagazione delle epidemie nelle popolazioni, stimare i rischi e produrre scenari che simulano cosa potrebbe succedere. Ed è proprio quello che i ricercatori hanno fatto, analizzando paese per paese le probabilità e le conseguenze di una diffusione del coronavirus in Africa.
Lo studio ha stimato per ciascun paese africano il rischio di importare il virus sulla base del volume dei voli scambiati con la Cina. I più esposti sarebbero Egitto, Algeria e Sud Africa, che hanno intensi rapporti commerciali con le province cinesi più colpite dall’epidemia.
I ricercatori hanno anche preso in considerazione gli indicatori SPAR (State Parties self-assessment Annual Reporting) e IDVI (Infectious Disease Vulnerability Index), che definiscono con un punteggio da 1 a 100 la capacità di un paese di affrontare adeguatamente l’epidemia. Lo SPAR si basa su una dichiarazione che ciascuno stato presenta annualmente all’Oms elencando le risorse che sarebbe in grado di mettere in campo per arginare un eventuale focolaio epidemico: organizzazioni di emergenza, staff medico, attrezzature ospedaliere o di laboratorio. L’IDVI considera altri fattori più generali non legati al sistema sanitario, come ad esempio le dimensioni della popolazione e la stabilità politica o socio-economica.
La buona notizia è che i 3 paesi più esposti sono anche quelli che meglio possono arginare il contagio, con punteggi SPAR e IDVI tra i più alti del continente. Un’eventuale epidemia coglierebbe invece impreparati stati come Nigeria, Etiopia, Sudan, Angola, Tanzania, Ghana e Kenya. I loro punteggi SPAR e IDVI sono bassi, ma fortunatamente anche la probabilità di importare il virus è minore.
Fermare i voli con la Cina
La situazione in Africa resta dunque precaria. È poco probabile, ma se il virus colpisse prima i paesi più fragili, potrebbe non essere diagnosticato immediatamente e diffondersi in tutto il continente. La peggiore delle ipotesi vedrebbe addirittura l’Africa come il punto di partenza di una pandemia globale, data la sua vicinanza geografica all’Europa. Colizza, in un’intervista alla Stampa, spiega che la possibilità di contagio in Africa è “forte”. Soprattutto fino a che non verranno sospesi i voli con la Cina, come è già successo in altre nazioni, compresa l’Italia. “Se si fermano al 100% i voli si blocca davvero la possibilità d’importare il virus. Se, invece, si riducono anche del 90% la possibilità di un contagio è solo ritardata”, ha dichiarato Colizza.
Referenze: The Lancet
(Credits immagine di copertina: NIAID-RML via Flickr CC)