Quanti italiani hanno incontrato il nuovo coronavirus? Quasi un milione e mezzo. È questo uno dei più significativi dati emersi dalla tanto attesa indagine di sieroprevalenza, che mira, appunto, a capire quanto il Sars-Cov-2 sia circolato tra la popolazione italiana. Svolta da Istat e dal ministero della Salute, con il supporto della Croce Rossa, l’indagine ha mostrato che esattamente un milione e 482mila persone sono entrate in contatto con il virus, vale a dire che il 2,5% dell’intera popolazione è risultata positiva al test degli anticorpi. E dunque sei volte di più rispetto al totale dei casi accertati durante la pandemia e riportati dai bollettini della Protezione civile. Tuttavia, precisiamo, i dati sono ancora provvisori, in quanto sono relativi a circa 64mila persone, molto meno della metà del campione inizialmente previsto.
Dall’indagine, in particolare, è emersa una accentuata differenziazione del territorio nazionale. In Lombardia, per esempio, la prevalenza ha raggiunto il 7,5%, ovvero 7 volte il valore rilevato nelle Regioni a più bassa diffusione, soprattutto del Sud Italia. Il caso della Lombardia è unico: “da sola questa regione assorbe il 51% delle persone che hanno sviluppato anticorpi”, si legge dall’indagine, soprattutto nelle province di Bergamo e Cremona, dove il tasso di sieroprevalenza raggiunge addirittura picchi del 24% e 19% rispettivamente. Sempre in Lombardia si è concentrato il 49% dei decessi per il virus e il 39% dei contagiati ufficialmente intercettati durante la pandemia. Dopo la Lombardia, ci sono Valle d’Aosta (4%), Piemonte, Trento, Bolzano, Liguria, Emilia Romagna e Marche (tutte al 3%). E ancora: il Veneto all’1,9%, mentre 8 regioni, soprattutto nel Sud Italia, presentano un tasso di sieroprevalenza inferiore ll’1%.
Non sono emerse, invece, differenze per genere, mentre per classe d’età la sieroprevalenza rimane simile: il dato più basso, sottolinea il rapporto, è stato riscontrato per i bambini da 0 a 5 anni (1,3%) e per gli over 85 (1,8%), verosimilmente più protetti e meno esposti durante la pandemia. Per i lavoratori, invece, quelli della Sanità sono i più colpiti, con il 5,3%, che raggiunge il 9,8% nella zona a più alta sieroprevalenza; e quella della ristorazione, che raggiungono il 4%. Secondo l’indagine, inoltre, la trasmissione in famiglia è stata molto elevata (chi ha avuto contatto con un familiare convivente infettato ha sviluppato anticorpi nel 41,7% dei casi), mentre il 27,3% delle persone con anticorpi è asintomatico.
Avviata dal 25 maggio al 15 luglio scorso, l’indagine ha incontrato tuttavia non poche difficoltà: prima fra tutte il problema di reclutare il campione necessario per acquisire risultati solidi. Diversi cittadini, infatti, hanno declinato l’invito di sottoporsi al test sierologico, ossia al prelievo di sangue venoso grazie al quale si può verificare la presenza o meno degli anticorpi contro il nuovo coronavirus (ricordiamo, tuttavia, che i test non sono affidabili al 100% e che non sappiamo ancora per quanto tempo permangano le immunoglobine IgG). Inizialmente, il campione doveva riguardare 150mila cittadini su tutto il territorio nazionale, contattati telefonicamente dai centri regionali della Croce Rossa. Ma l’adesione iniziale dei cittadini è stata davvero molto bassa: dopo le prime 7mila chiamate solamente il 25% ha accettato al primo invito e oltre il 60% delle persone ha chiesto di essere ricontattato. I risultati provvisori appena diffusi dall’indagine, invece, hanno riguardato un totale di 64.660 italiani.
A commentarli in un post di Facebook è stato l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, secondo cui una seria analisi dei dati appena diffusi potrà dare un significato concreto alla generica affermazione che “dobbiamo convivere con il coronavirus”. “In Italia i casi di infezione sono stati in tutto 1,5 milioni. Questo vuol dire che il sistema di sorveglianza (i famigerati tamponi) hanno individuato un caso su sei. Per un sistema di sorveglianza del genere, cioè basato su conferma di laboratorio, è un’ottima performance”, scrive Lopalco. Il 97,5% degli italiani, fa notare l’esperto, non ha mai incontrato il coronavirus. “Difficile crederlo, ma la prima ondata di Covid-19 in Italia altro non è stata che una breve passeggiata del virus in una porzione limitatissima di popolazione”.
Il nuovo coronavirus, suggerisce l’esperto, non ha niente a che vedere con l’influenza, che è molto più contagiosa e molto meno letale. “Si può mantenere sotto controllo con un attento controllo dei focolai e l’individuazione precoce dei super-diffusori. E con un briciolo di buonsenso da parte dei cittadini che, a fronte della protezione della salute propria e dei propri cari, devono fare dei minimi sforzi: evitare luoghi affollati, lavarsi le mani e mettere la mascherina quando serve”.
Via: Wired.it
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