La luce del sole più forte della stagione estiva ci aiuterà a fermare il coronavirus. Tutti ci hanno sperato sin dall’inizio della pandemia. Gli indizi non mancavano, come anche le incertezze, ma ora più di uno studio – alcuni anche italiani – danno forza all’ipotesi: tutti i raggi ultravioletti, sia gli UV-C sia gli UV-A e gli UV-B, uccidono Sars-Cov-2. Un risultato tutt’altro che scontato. Sapevamo infatti che le radiazioni solari uccidono diversi patogeni ma non era certo che tra questi ci fosse anche il nuovo coronavirus. Ma che peso potrebbe avere il fattore “esposizione solare” nella lotta al coronavirus?
Attenti alla bufala che scotta
Nella pandemia Covid-19 abbiamo sentito dire di tutto e di più. E anche molte bufale, dal virus che viene dal laboratorio fino ai rimedi casarecci spacciati per curare il coronavirus. Il rischio di semplificare o esagerare i risultati che arrivano dalla ricerca, spesso preliminare, è sempre alto in una cornice di incertezza, come quella di una pandemia dovuta a un virus inizialmente sconosciuto. Per questo, quando sentiamo dire che la luce del sole e i raggi ultravioletti possono combattere il coronavirus dobbiamo stare attenti a comprendere il significato della notizia. Che non indica in alcun modo che esporsi per lungo tempo al sole o avere un’abbronzatura perfetta ci fornisca una qualche protezione. Lo chiarisce anche l’Oms che mette questa ipotesi fra i più comuni miti da sfatare.
Raggi letali
Non è una novità però che la radiazione UV-C abbia un potere germicida contro vari patogeni, riuscendo a spezzare i legami molecolari del DNA o dell’RNA di batteri e virus. Per questo tali raggi UV sono impiegati, per esempio, per la disinfezione di superfici negli ospedali. Tuttavia, incredibilmente, finora non erano mai stati mai definiti dei parametri di riferimento, per potenza e durata del trattamento.
Ora uno studio a firma italiana lo ha fatto: ha dimostrato in laboratorio che basta una dose molto piccola di UV-C per inattivare il virus e bloccare la sua replicazione. Questa dose, spiega Marco Biasin della Statale di Milano, tra gli autori del paper in preprint, è “equivalente a quella erogata per qualche secondo da una lampada UV-C posta a qualche centimetro dal bersaglio”. Un dato che potrebbe aiutare imprenditori e operatori pubblici nello sviluppo di sistemi per eliminare il virus dalle superfici. “Con dosi così piccole”, prosegue Andrea Bianco dell’Inaf, “è possibile attuare un’efficace strategia di disinfezione contro il coronavirus”.
Alla luce del sole: anche gli UV-A e UV-B hanno effetto
Circa il 99% dei raggi ultravioletti che arrivano sulla superficie terrestre però sono UV-A (lunghezza d’onda 400-315 nm) mentre la quasi totalità degli UV-C (280-100 nm) e il 95% degli UV-B (315-280 nm) vengono assorbiti dall’atmosfera. Ma a confortarci sul potere benefico dell’intero spettro Uv solare è un altro studio dell’Inaf, e dell’Università di Milano, che indica una correlazione tra diffusione della pandemia e irraggiamento UV-A e UV-B. “Il nostro studio – spiega Fabrizio Nicastro, ricercatore all’Inaf – sembra spiegare molto bene perché COVID19 si sia sviluppata con più potenza nell’emisfero nord della Terra durante i primi mesi dell’anno, e or stia avendo il suo picco nei paesi dell’emisfero sud, che vanno verso l’inverno, attenuandosi invece a nord”.
Un virus fuori stagione?
Tutto questo lascia sperare che la maggiore quantità di luce tipica della bella stagione possa darci una mano nel contenere l’esuberanza del coronavirus. E potrebbe anche spiegare la supposta stagionalità del virus, e dunque delle infezioni. Un’ipotesi, questa, supportata da una ricerca Usa pubblicata su The Journal of Infectious Diseases. Dall’analisi (sempre in laboratorio) emerge che in estate, in particolare nelle ore intorno a mezzogiorno, bastano pochi minuti perché la luce ultravioletta del Sole riesca a rendere inefficace il coronavirus.
Riferimenti: medRxiv; medRxiv; The Journal of Infectious Diseases
Immagine di Bruno/Germany via Pixabay
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