In tutto il mondo, il numero di persone contagiate dal nuovo coronavirus (Sars-CoV-2) supera oggi i 90mila casi e dall’inizio dell’epidemia, oltre 3mila persone sono decedute a causa della malattia respiratoria Covid-19 e oltre 48mila sono guariti. La stragrande maggioranza dei casi si è verificata in Cina, ma altri 60 Paesi nel mondo stanno ora affrontando un aumento del numero di contagi, soprattutto in Corea del sud, Italia e Iran dove oggi si registrano i più grandi focolai al di fuori della Cina. E sebbene in molti si stiano preparando al peggio, l’Organizzazione della sanità (Oms) non ha ancora dichiarato la pandemia. Ma perché?
Livello di allerta “molto alto”
In un nuovo rapporto, l’Oms ha annunciato di aver innalzato l’allerta globale per la Covid-19 al livello più alto possibile, senza, tuttavia, dichiarare ancora la pandemia. Basandosi sul numero di casi di contagio e sulle aree colpite dalla Covid-19, infatti, gli epidemiologi dell’Oms hanno aumentato il rischio globale di diffusione e l’impatto sulla società del nuovo coronavirus da “alto” a “molto alto”. Tuttavia, la maggior parte dei casi, secondo il nuovo rapporto, sono collegati e possono ancora essere rintracciati i contatti o i cluster. In altre parole, non ci sono ancora le prove che il virus si diffonda liberamente tra le comunità. “Finché è così abbiamo ancora la possibilità di contenere questo virus, se vengono intraprese solide azioni per rilevare i casi in anticipo, isolare e curare i pazienti e rintracciare i contatti”, ha spiegato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms.
L’Oms non dichiara la pandemia
L’organizzazione, quindi, rimanda ancora una volta la pandemia. Una decisione del genere, spiega Mike Ryan, direttore del programma per le emergenze dell’Oms, significherebbe che gli sforzi e le strategie per contenere e rallentare la diffusione del coronavirus sono falliti. Ma in Cina, per esempio, non è stato così: “ha organizzato lo sforzo di contenimento più ambizioso, veloce e aggressivo della storia contro una nuova malattia infettiva”, ha affermato l’Oms. Analizzando i dati dell’epidemia in Cina, infatti, il nuovo rapporto evidenzia che i casi di contagio stanno diminuendo al punto che le autorità hanno ora problemi nel reclutare pazienti per gli oltre 80 studi clinici che si stanno svolgendo per testare nuovi potenziali trattamenti contro il coronavirus.
Le misure della Cina
Dall’analisi, inoltre, è emerso che 104 ceppi del coronavirus, raccolti tra dicembre 2019 e metà febbraio 2020, sono simili al 99,9%, e ciò significa che il virus non sta mutando. L’età media delle persone contagiate è di 51 anni e la maggior parte dei contagi è avvenuto all’interno di ospedali, carceri o famiglie, il che implica che è necessario uno stretto contatto affinché il virus si diffonda tra le persone.
Nel rapporto, inoltre, l’Oms attribuisce alla Cina l’abilità di aver gestito l’epidemia grazie a una serie di misure intraprese, tra cui quella di mettere a disposizione 1.800 gruppi di epidemiologi che hanno rapidamente rintracciatodecine di migliaia di contatti di persone infette dal virus nella provincia cinese di Hubei, dove si trova la città di Wuhan, focolaio dell’epidemia. Di tutti i contatti rintracciati, solo il 5% si è ammalato ed è stato prontamente diagnosticato. Inoltre, Il blocco dei viaggi fuori da Hubei, una misura senza precedenti in una provincia di queste dimensioni, precisa l’Oms, ha contribuito ad arrestare una ancora più ampia diffusione del coronavirus tra i cittadini cinesi.
Pandemia o no?
Tuttavia, non tutti sono d’accordo. Secondo Adam Kamradt-Scott, esperto di sicurezza sanitaria dell’Università di Sydney, l’Oms continua a sperare che il coronavirus possa essere contenuto, ma probabilmente abbiamo già superato questa soglia. Alcuni Paesi hanno, infatti, già iniziato a preparare le loro strategie per la potenziale pandemia, aggiunge Nigel McMillan, infettivologo della Griffith University di Brisbane, secondo cui l’Oms sarebbe troppo cauta nel non dichiarare una pandemia.
Dall’Oms, però, sono stati abbastanza chiari. Sebbene l’epidemia da coronavirus abbia il potenziale per diventare una pandemia, dal nuovo rapporto è emerso che non è ancora arrivato il momento. “Ciò che vediamo sono epidemie in diverse parti del mondo, che colpiscono i Paesi in modi diversi e che richiedono una risposta su misura. L’improvviso aumento di nuovi casi è certamente molto preoccupante. Ma bisogna parlare costantemente della necessità di azioni, non di paura e l’uso della parola pandemia ora può certamente generarla”, spiega il direttore generale dell’Oms. “Questo non è il momento di concentrarci su quale parola usare. Questo è il momento in cui tutti i Paesi, comunità, famiglie e cittadini devono concentrarsi sul contenimento, mentre facciamo tutto il possibile per prepararci a una potenziale pandemia”.
Via: Wired.it
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