Alla fine degli anni Trenta, i recenti risultati sulla fissione alimentarono forti timori che essi potessero essere utilizzati per costruire armi di una potenza distruttiva mai prima immaginata. Animati da queste inquietudini, alcuni fisici, tra i quali Leo Szilard, Paul A. M. Dirac e Viktor Weisskopf invitarono addirittura la comunità scientifica internazionale a una sorta di autocensura: non pubblicare i risultati ottenuti per non permettere agli scienziati che lavoravano nella Germania di Hitler di venire in possesso di nuove informazioni. L’invito che non fu però accolto. La preoccupazione per l’uso che la Germania nazista avrebbe potuto fare di queste conoscenze era così forte che, nell’agosto del 1939, Albert Einstein, in una lettera concordata con Szilard e Wigner, chiese al presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Roosvelt, di avviare e finanziare un progetto per la costruzione di una bomba basata sulla possibile reazione a catena che può avvenire in una massa di materiale fissile, la “bomba atomica”.
La giustificazione per una richiesta così grave era, appunto, il timore che la Germania, con le competenze e le materie prime che aveva a disposizione, potesse realizzare quelle possibilità e divenire l’unica nazione al mondo in possesso di armi capaci di distruzioni inimmaginate. Nacque così, nel 1942, il Progetto Manhattan, un programma finalizzato alla costruzione di bombe a fissione, la cui direzione fu affidata all’esercito, nella persona del generale Leslie Groves. Per il laboratorio dove costruire le bombe fu scelta la località di Los Alamos, nel Nuovo Messico, il fisico americano J. Robert Oppenheimer ne divenne il direttore scientifico. A Oak Ridge e successivamente ad Hanford vennero costruiti degli enormi stabilimenti per la produzione del materiale fissile.
Pochi mesi dopo, il 2 dicembre del ‘42, il gruppo di Enrico Fermi, a Chicago, mise in funzione il primo reattore nucleare, innescando la prima reazione nucleare a catena controllata. In quegli stessi giorni, anche i sovietici avviavano, sotto la direzione di Igor Kurchatov, un loro progetto scientifico-tecnologico per costruire una bomba atomica basata sulla fissione del plutonio (PU-239, anch’esso un elemento fissile, con peso atomico 239, prodotto di trasmutazione dell’uranio 238, U238). Analoghi tentativi erano in corso in Giappone. I laboratori di Los Alamos divennero rapidamente un punto di incontro di scienziati di grandissimo valore provenienti anche da altri paesi e il lavoro fu coronato da importanti successi. Alla fine del 1944 fu chiaro che la Germania nazista non sarebbe riuscita a costruire bombe a fissione, ma il Progetto Manhattan proseguì il suo corso, anche dopo la capitolazione della Germania nazista (8 maggio 1945).
Nonostante lo scopo per il quale era nato non sussistesse più, nessuno degli scienziati coinvolti nel progetto abbandonò Los Alamos, con una sola eccezione: Joseph Rotblat, un giovane e brillante fisico polacco giunto a Los Alamos dall’Inghilterra, dove lavorava sotto la guida di James Chadwick (che nel 1932 aveva scoperto il neutrone e che già nella primavera del 1941 era arrivato alla conclusione che la possibilità di costruire una bomba nucleare era una tragica sconvolgente realtà). A quella difficile decisione, fondamentale per tutto il resto della sua vita, Rotblat farà riferimento nel 1985, in occasione del quarantesimo anniversario del bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, in una dichiarazione al Bulletin of the Atomic Scientists. Parole che sono un monito e un esempio, non soltanto per gli uomini di scienza: “Dopo quaranta anni una domanda continua a tormentarmi: abbiamo imparato abbastanza per non ripetere gli errori che commettemmo allora? Io non sono sicuro nemmeno di me stesso. Non essendo un pacifista perfetto, io non posso garantire che in una situazione analoga non mi comporterei nello stesso modo.
I nostri concetti di moralità sembra vengano abbandonati una volta che una iniziativa militare è stata avviata. E’, quindi, della massima importanza non permettere che si creino tali situazioni. Il nostro sforzo principale deve essere concentrato sulla prevenzione della guerra nucleare, poiché in una tale guerra non soltanto la moralità, ma l’intera struttura della civiltà scomparirebbe” (1).
Il Rapporto Frank
Forse oggi una guerra nucleare è altamente improbabile e le devastazioni che questa comporterebbe non sono concepite nemmeno con la fantasia dall’opinione pubblica. Ma lo stravolgimento che le guerre “convenzionali” producono nelle società e negli individui è, purtroppo, quotidianamente di fronte agli occhi di tutti. Hiroshima e Nagasaki. Subito dopo la fine della guerra contro la Germania nazista, negli Stati Uniti venne costituito un Comitato, formato da vari scienziati del Metallurgical Laboratory di Chicago e presieduto da James Franck, con il compito di valutare la possibilità di non ricorrere alle armi atomiche. Le sue conclusioni, riportate in un documento noto come “Rapporto Franck”, erano apertamente contrarie all’uso delle bombe nucleari “per un attacco precoce contro il Giappone” e auspicavano che, prima di passare all’impiego militare, fosse data ai capi giapponesi una dimostrazione della sua potenza distruttiva in una zona disabitata.
Oltre a sottolineare il rischio di innescare la corsa agli armamenti, il Rapporto Franck metteva chiaramente in evidenza come la possibilità di generare un’ “ondata di orrore e di repulsione” nel resto del mondo potesse superare “i vantaggi militari e il risparmio di vite americane ottenuti con l’impiego senza preavviso di bombe atomiche contro il Giappone”. Le raccomandazioni del Rapporto Franck non vennero prese in alcuna considerazione. Il 16 luglio del 1945, ad Alamogordo, nel deserto del Nuovo Messico, venne effettuata la prima esplosione nucleare sperimentale, una bomba a fissione a plutonio, e una ventina di giorni dopo, il 6 agosto del 1945, alle 8.15 del mattino, il bombardiere americano “Enola gay” sganciò la prima bomba atomica (soprannominata little boy) basata sulla fissione dell’uranio, sulla città giapponese di Hiroshima (mentre la Germania nazista si era arresa agli Alleati l’8 maggio del 1945, il Giappone era ancora in guerra).
La potenza della bomba di Hiroshima, equivalente a quella di circa 13.000 tonnellate di tritolo, uccise circa 68.000 persone e ne ferì circa 76.000. Tre giorni dopo, il 9 agosto, alle 11.02 del mattino, una seconda bomba (soprannominata fat man), a plutonio, come quella sperimentata ad Alamogordo, venne sganciata su un’altra città giapponese, Nagasaki. La bomba di Nagasaki aveva una potenza esplosiva equivalente a quella di circa 22.000 tonnellate di tritolo, uccise circa 38.000 persone e ne ferì circa 21.000. L’obiettivo del secondo lancio sarebbe dovuto essere Kokura e il giorno previsto l’11 agosto. Il bombardamento fu anticipato e l’obiettivo cambiato a causa delle condizioni meteorologiche.
I bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, vennero giustificati ufficialmente con la tesi che così gli Stati Uniti riuscirono a salvare un grandissimo numero di vite di soldati americani, altrimenti destinati a morire se la guerra fosse continuata. Uomini politici come Winston Churchill e militari come Dwight Eisenhower (che era allora il comandante supremo delle Forze Alleate) hanno in diverse occasioni dichiarato che i giapponesi erano pronti ad arrendersi e che l’uso barbaro di quei bombardamenti non fu d’alcun aiuto militare. In realtà le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki servirono soprattutto come potente strumento di lotta ideologica e diplomatica, che avrebbe permesso di vincere la prima battaglia della Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica.
A questo proposito, mi sembra anche opportuno ricordare che, sempre durante la Seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti effettuati dai nazisti su Londra e Coventry, che non erano riusciti a danneggiare significativamente la produzione industriale inglese, riuscirono però a devastare Coventry fino alle fondamenta (non a caso Göbbels coniò il verbo “coventrizzare”) e che dal febbraio del 1942 all’aprile del 1945, gli Alleati sganciarono sulla Germania un milione di tonnellate di bombe in quattrocentomila incursioni aeree, provocando circa 600.000 vittime civili e radendo quasi interamente al suolo numerose città.
Lo scopo, voluto e pianificato, di quei bombardamenti indiscriminati non era colpire obiettivi militari o strategici, bensì distruggere il morale della popolazione civile. Anche in questo caso l’annientamento letterale del nemico, degli esseri umani e delle strutture e infrastrutture civili, non era un “danno collaterale”, ma La motivazione.Le bombeIn una sommaria descrizione delle basi del funzionamento delle armi nucleari, ricordiamo che, in ogni bomba a fissione, perché si inneschi la reazione a catena e avvenga l’esplosione nucleare è necessario che la massa del materiale fissile superi il valore della cosiddetta “massa critica”. Per questo, sia nelle bombe all’uranio sia in quelle al plutonio, la massa del materiale fissile è portata a valori “sopracritici” tramite un’esplosione convenzionale. Nel caso delle bombe a uranio, molto semplicisticamente, due semisfere di uranio, ciascuna con massa inferiore a quella critica (per esempio, due masse di circa 25 Kg di uranio con peso atomico 235, U-235, al 90 per cento), sono collocate agli estremi di un cilindro e “sparate” l’una contro l’altra da un’esplosione convenzionale (metodo del “cannone”).
Al momento in cui le due semisfere si uniscono in un’unica sfera, la massa raggiunge il valore critico e ha luogo l’esplosione nucleare. La relativa “facilità” di innesco di un’esplosione nucleare a fissione di U-235 ha alimentato e alimenta forti timori di attentati terroristici con tali ordigni. Naturalmente il problema chiave è l’acquisizione del materiale fissile. Purtroppo di U-235 nel mondo ne esistono grandi quantità, soprattutto come eredità della Guerra Fredda, che potrebbero essere utilizzate per progetti di gran lunga più facili da realizzare, come una bomba montata col metodo del “cannone” (tipo quella sganciata su Hiroshima). La progettazione e la fabbricazione di un ordigno nucleare di questo tipo potrebbe quindi presentare, per un gruppo tecnicamente competente, difficoltà non insormontabili. Più complicato e delicato è il meccanismo di funzionamento di una bomba al plutonio, PU-239: in questo caso la massa critica viene raggiunta comprimendo, anche in questo caso con un’esplosione convenzionale, in maniera rigorosamente isotropa e omogenea una sfera di PU-239, di peso anche assai modesto (per esempio, circa 4-5 Kg).
Perché s’inneschi la reazione a catena è necessario che le diverse cariche esplosive distribuite omogeneamente attorno alla sfera di plutonio esplodano “contemporaneamente”, entro 1-5 milionesimi di secondo, causando l’”implosione” della sfera di plutonio. Questa sostanziale differenza spiega perché per la bomba al PU-239 fu necessario un test (Alamogordo) prima del suo impiego.Se l’esplosione avviene in aria, immediatamente dopo la detonazione nucleare, la bomba viene istantaneamente vaporizzata e si forma una sfera di fuoco estremamente luminosa e calda (diversi milioni di gradi centigradi), che emette radiazione termica capace di provocare ustioni mortali e far divampare incendi anche a grande distanza dal punto della deflagrazione.
I processi nucleari che causano l’esplosione sono accompagnati dall’emissione di radiazioni gamma e di neutroni e subito dopo l’esplosione dalla sfera di fuoco si sviluppa e si propaga un’onda d’urto distruttiva. Mentre per le bombe a fissione il potenziale esplosivo è severamente limitato dalla massa di materiale utilizzabile, non esiste nessun limite al potere distruttivo delle armi a fusione, o bombe a idrogeno (H), o termonucleari. Le bombe H funzionano sulla base degli stessi processi che producono energia nel Sole. Sempre molto semplicisticamente: in una bomba H i nuclei di due atomi leggeri di idrogeno vengono fusi assieme per formare un atomo più pesante, l’elio (He). L’energia che bisogna fornire al sistema perché questa reazione avvenga è altissima, e viene fornita, nelle bombe H, dall’esplosione di un congegno a fissione (in altri termini: la bomba H è innescata da una bomba a fissione). A parità di massa di esplosivo, l’energia liberata in una reazione nucleare di fissione e di fusione è, rispettivamente, circa 25.000.000 e 75.000.000 di volte maggiore di quella prodotta dalla deflagrazione chimica di un esplosivo convenzionale come il tritolo.
Alla fine degli anni Quaranta anche l’Unione Sovietica disponeva di armi atomiche e fu chiaro a tutti, scienziati e responsabili politici, che avrebbe potuto avere inizio un’insensata corsa agli armamenti. Il progetto di creare uno strumento di controllo internazionale sulla produzione di queste devastanti armi (il piano Baruch del 1946), fallì.
L’Unione Sovietica rigettò il piano e il 29 agosto del 1949 fece esplodere la sua prima bomba atomica a fissione di PU-239.Nel 1950, nonostante un durissimo dibattito politico, scientifico e morale, che vide schierati scienziati contrari, come Robert Oppenheimer, gli Stati Uniti avviarono la costruzione delle armi termonucleari, con i determinanti apporti tecnico-scientifici di Edward Teller e Stanislaw Ulam. Tra quanti rifiutarono di partecipare al progetto per la costruzione delle superbombe si devono ricordare almeno Max Born e Franco Rasetti, uno dei più brillanti fisici italiani, che negli anni 1934-38 aveva dato decisivi contributi alla scoperta del ruolo dei neutroni lenti nella fissione del nucleo. La prima bomba H (“Mike”) venne fatta esplodere il 1° novembre del 1952. All’epoca la Gran Bretagna aveva già effettuato la prima esplosione sperimentale di una bomba a fissione.
Seguiranno poi la Francia (nel 1960) e la Cina (nel 1964), in una corsa ininterrotta e dissennata alla costruzione di armi sempre più potenti e distruttive.Il Manifesto Russell-Einstein e il PugwashNel 1955 Bertrand Russel e Albert Einstein, assieme ad altri nove eminenti scienziati (tra i quali Rotblat, premio Nobel per la Pace nel 1995), consapevoli del potere devastante delle bombe H, rivolsero un appello alla comunità scientifica del mondo intero, noto come il Manifesto Russell-Einstein. Nel 1957 si tenne a Pugwash, una cittadina della Nuova Scozia, in Canada, il convegno auspicato dal Manifesto che diede vita alle Conferenze Pugwash (Pugwash Conferences on Science and World Affairs), che costituirono una preziosa occasione di incontro fra scienziati provenienti dai due blocchi avversari ai tempi della Guerra Fredda. Oggi, a 48 anni dalla sua fondazione, il Movimento Pugwash tiene conferenze annuali, seminari, incontri di lavoro in tutti i paesi del mondo e continua a essere una assise internazionale di discussione e confronto di singolare autorevolezza e utilità.
Nel 1995 le Conferenze Pugwash ottennero, come organizzazione, il premio Nobel per la Pace.Esplosioni nucleari sperimentaliNell’ottobre del 1957 l’Unione Sovietica mise in orbita il primo satellite artificiale, Sputnik, al quale ne seguirono altri, lanciati dalle potenze nucleari e non, con compiti di ricognizione, comunicazione, controllo, spionaggio.Nel frattempo continuarono a ritmo sostenuto le esplosioni nucleari sperimentali. A grandi linee, si possono individuare tre scopi fondamentali di un test nucleare: studiare gli effetti dell’esplosione, sviluppare nuove armi, controllare l’efficienza e la sicurezza delle armi già esistenti negli arsenali nucleari. Va precisato che una testata nucleare può essere considerata sostanzialmente “affidabile” se viene accertata l’impossibilità di innesco di reazione nucleare o di dispersione del materiale fissile in caso di incidente, e se l’esplosivo può essere ritenuto efficiente e sicuro e la sua potenza corrispondente a quella prevista. Per verificare l’affidabilità degli arsenali nucleari già esistenti, però, non sono necessari i test: è infatti sufficiente smontare le testate e sottoporre ad accurato controllo tutte le loro componenti, tranne quella nucleare.
Inoltre sono utilizzabili (e utilizzate) tecnologie e programmi di simulazione che rendono del tutto inutili per questo scopo le esplosioni sperimentali delle testate. Le esplosioni nucleari sperimentali sono davvero indispensabili solo e soltanto per il perseguimento di piani di ammodernamento dell’arsenale nucleare e, soprattutto, per lo sviluppo di nuovi sistemi d’arma. E questo è uno dei motivi che hanno reso così difficoltosi e lunghi i negoziati per la firma di un trattato che bandisse tutti i test nucleari. Risalgono almeno al 1958 i primi tentativi di Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna di avviare le trattative per un bando totale delle esplosioni nucleari sperimentali. Ma solamente nel 1963, anche a seguito di un’imponente mobilitazione dell’opinione pubblica, della comunità scientifica internazionale, con il Movimento Pugwash in primo piano, e di responsabili politici, le tre potenze firmarono il Trattato per il Bando Limitato dei test nucleari (Limited Test Ban Treaty, LTBT).
Questo accordo si limitava a proibire gli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio esterno e sotto le acque (al momento della firma del trattato erano state effettuate circa 500 esplosioni nucleari sperimentali, la maggior parte nell’atmosfera, alcune di potenza equivalente a centinaia di migliaia di tonnellate di tritolo). Nel settembre del 1996 venne finalmente approvato il Trattato per il Bando Completo dei Test nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty, CTBT), che mise al bando tutti gli esperimenti nucleari, compresi quelli sotterranei, sfuggiti alle maglie del trattato del 1963. Il sistema internazionale di monitoraggio e verifica previsto e creato dal CTBT stesso, che utilizza e integra diverse tecnologie (dalla sismologia all’idroacustica, dalla rivelazione degli infrasuoni a quella dei radionuclidi, alle ispezioni in situ) entrerà però in vigore solo 180 giorni dopo che tutti i 44 Stati considerati “essenziali” lo avranno ratificato. A oggi il trattato è stato ratificato da trentatré Stati (tra i quali Russia, Gran Bretagna, Corea del Sud, Francia) e non ancora dagli altri undici (tra cui Cina, India, Pakistan, Corea del Nord, Israele e Stati Uniti).
Sistemi di difesa
A partire dalla metà degli anni Cinquanta, la progettazione e la costruzione di armi di distruzione di massa sempre più micidiali fu abbinata alla realizzazione e messa a punto di sistemi affidabili, veloci e precisi per il trasporto di armi nucleari, capaci di colpire obiettivi posti anche a grandi distanze: i missili balistici intercontinentali.I progressi nel campo dei radar, dei calcolatori elettronici, dei missili intercettori ad accelerazione rapida, dettero il via anche a ricerche per tentare di realizzare persino dei sistemi di difesa da questi stessi missili. L’ipotetica possibilità di difendersi dai missili innescò, a sua volta, una rincorsa a rendere inefficaci i sistemi di difesa stessi. Nonostante un trattato del 1972 (il Trattato ABM, Anti-Ballistic Missile) bandisse il dispiegamento di sistemi di difesa da missili balistici, vennero progettate e realizzate le “testate multiple” (MIRV, Multiple Independently targetable Reentry Vehicles): numerose testate trasportate da un unico missile, indirizzabili indipendentemente l’una dall’altra, su diversi obiettivi con lo scopo di “perforare” un sistema di difesa che ormai non era più permesso dai trattati internazionali.
Per quanto paradossale e immorale possa apparire, però, la vulnerabilità delle popolazioni confrontata con la relativa invulnerabilità delle armi nucleari, sembrava contribuire a garantire la pace: la certezza di una catastrofe planetaria in caso di conflitto nucleare, infatti, funzionava da deterrente e il mantenimento delle condizioni per la distruzione reciproca assicurata (Mutual Assured Destruction, MAD) da elemento stabilizzante. A poco più di dieci anni dalla firma del Trattato ABM, però, nel marzo del 1983, il presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan si appellò alla comunità scientifica del paese perché si impegnasse a rendere le armi nucleari “impotenti e obsolete”. L’obiettivo doveva essere raggiunto con l’Iniziativa di Difesa Strategica, un programma di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie belliche, in molti casi dal sapore decisamente fantascientifico, che, grazie a complessi e avveniristici sistemi di avvistamento e intercettazione, avrebbe dovuto garantire la distruzione di missili nemici prima che raggiungessero gli Stati Uniti. Abbandonato alla fine degli anni Ottanta, anche per le critiche serrate della comunità scientifica americana e internazionale sulla fattibilità del progetto, l’idea di una Iniziativa di Difesa Strategica ricompare agli inizi del nuovo millennio in forma “ridotta”, ma non per questo meno pericolosa e inquietante, come sistema di difesa nazionale da missili strategici (National Missile Defense, NMD).
I clamorosi insuccessi dei missili intercettori Patriots nella Guerra del Golfo del 1991 e le severe critiche di carattere scientifico al progetto NMD, non sembrano aver dissuaso il governo americano da un progetto che unisce a enormi difficoltà tecniche un pericoloso potenziale destabilizzante. L’impegno alla progettazione, realizzazione e installazione di un sistema NMD ha già comportato, nel 2002, l’abbandono del trattato ABM del 1972, e minacciato la stabilità degli altri trattati sulla limitazione, il controllo e l’eliminazione delle armi nucleari. Dopo la fine della Guerra FreddaIl complicato e delicato sistema dei trattati e dei negoziati sembra non poter più garantire la sicurezza internazionale, mentre sempre più acuto si va facendo il problema della proliferazione orizzontale delle armi nucleari. Sono molti gli Stati, infatti, che pensano di poter affidare la propria incolumità (quando non di poter espandere la propria potenza e/o la propria influenza) al possesso di armi nucleari. Nell’Articolo VI del Trattato di Non Proliferazione (1968) si dichiara che ogni potenza nucleare “si impegna a concludere in buona fede trattative su misure efficaci per una prossima cessazione della corsa agli armamenti nucleari e per il disarmo nucleare, come pure per un trattato sul disarmo generale e completo sotto stretto ed efficace controllo internazionale”.
Ma le prescrizioni di questo articolo sono state sistematicamente disattese nel corso degli anni a conferma del valore politico che viene attribuito alle armi nucleari. E quindi si continuano a progettare testate nucleari e convenzionali che possano penetrare nel terreno e distruggere obiettivi interrati fino a decine di metri (come i silos dei missili intercontinentali), bombe e munizioni di precisione a guida laser o tramite GPS (Global Positioning System) che alimentano vaneggiamenti di guerre chirurgiche, bombe a grappolo che disperdono proiettili che, se inesplosi, diventano poi mine antiuomo, e così via.Prima di concludere questa breve cronistoria, bisogna sottolineare il ruolo specifico ed essenziale che la ricerca scientifica e tecnologica ha svolto e può svolgere nella corsa agli armamenti, imprimendole un’accelerazione aggiuntiva ed autonoma rispetto a quella indotta da cause politiche e militari. Gli scienziati e i tecnologi impegnati nel settore militare, infatti, non hanno avuto, e non hanno, soltanto il compito di mettere a punto e realizzare le armi loro commissionate, ma anche la possibilità di concepire e sviluppare nuovi sistemi di armi o di perfezionare radicalmente quelli già esistenti.
Dalla prime bombe atomiche a quelle termonucleari, dai missili intercontinentali alle testate multiple, dai sistemi di sorveglianza tramite satellite alle ipotesi di difesa da missili nucleari, il contributi di scienziati e tecnologi alla corsa quantitativa e qualitativa agli armamenti è stato decisivo. Si deve poi ricordare che i programmi di ricerca e sviluppo per la realizzazione di nuovi sistemi d’arma possono essere di lunga durata (anche 10 o 20 anni) e ciò può far sì che trattative per il controllo, la limitazione o la riduzione degli armamenti si concludano con accordi su sistemi d’arma ormai obsoleti. Caratteristica peculiare della ricerca per fini militari è, ovviamente, la segretezza. L’impegno in un progetto di ricerca integrato in un programma militare comporta, inevitabilmente, mancanza del libero flusso di informazione e della circolazione di risultati che sono condizioni imprescindibili per un livello alto e competitivo della ricerca.Infine, la segretezza dei progetti e dei risultati, inconciliabile con una corretta ed obiettiva valutazione della attendibilità e della significatività del lavoro da parte della comunità scientifica, potrà favorire sprechi enormi e pericolosi stravolgimenti di linee di sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle personali dell’autore e non implicano alcun consenso da parte delle Istituzioni ed Associazioni cui l’autore appartiene.NOTE La dichiarazione fu pubblicata nel 1985 dal Bulletin of the Atomic Scientists, rivista fondata nel 1945, dopo il tragico uso delle armi nucleari contro le popolazioni giapponesi, per informare i governi e l’opinione pubblica del bisogno urgente di arrestare la diffusione delle armi nucleari (www.thebulletin.org/).
BIBLIOGRAFIAR. Rhodes, The making of the atomic bomb, Simon & Schuster, Inc, 1986S.
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Leo Szilard, Carlo Bernardini (a cura di), La coscienza si chiama Hiroshima, Editori Riuniti, Torino 1985W.
G. Sebald, Storia naturale della distruzione, Adelphi, Milano 2004.
D. Barton, R. Falcone, D. Kleppner, F. K. Lamb, M. K. Lau, H. L. Lynch, D. Moncton, D. Montague, D. E. Mosher, W. Priedhorsky, M. Tigner, and D. R. Vaughan, “Report of the American Physical Society Study Group on Boost-Phase Intercept Systems for National Missile Defense: Scientific and Technical Issues”, Rev. Modern Phys., 76, S1-S424, 2004.
LINK
Trattato sul Bando Totale dei test Nucleari (CTBT)
The Project for the New American Century
Arms Control Association
The bullettin of Atomic Scientists
Carnegie Endowment for International Peace
Federation of American Scientists
Movimento Pugwash
www.pugwash.org