Franco Mandelli
Curare è prendersi cura
Sperling Kupfer, 2014, 169 pp, 16 euro
Praticare ad alto livello la scienza e la medicina vuol dire farlo con umanità. È questo, forse, il più grande insegnamento di uno dei padri dell’ematologia italiana, Franco Mandelli. Che ne fa il leitmotiv del suo ultimo libro, dal titolo emblematico “Curare è prendersi cura” (Sperling Kupfer, 2014, 169 pp, 16 euro).
Con grande semplicità e chiarezza, Mandelli ripercorre la storia dell’ematologia in Italia, che in larga parte coincide con quella di uno dei primi movimenti di volontariato, oggi tra i più importanti del nostro paese: l’Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma (Ail). Perché “senza il volontariato, senza i volontari, nulla di quanto ho fatto, di quanto abbiamo fatto, sarebbe stato possibile”, ricorda l’autore.
Erano gli anni del Collettivo di Via dei Volsci, degli infermieri politicizzati: “una situazione precaria”, quando al Policlinico Umberto I di Roma “lo spazio era poco e i pazienti tanti”. Il primo day hospital per chi aveva una malattia ematologia lo misero in piedi loro, i medici volontari riuniti intorno a Mandelli, in un appartamento di Via Lancisi. Sette dottori in tutto per assicurare un’assistenza continua ai malati. “Senza autorizzazione, ma non c’erano alternative”. Al gruppo di volontari si aggiunsero presto i biologi specializzandi, le suore e i parenti dei pazienti. Soprattutto donne. “Un periodo epico, bellissimo, contrassegnato da grande entusiasmo. La mia fortuna è stata sempre quella di avere accanto persone eccezionali”, racconta ancora “il prof”, come lo chiamano tutti.
Il paziente è stato sempre al centro della sua vita professionale, e così, scrive, dovrebbe essere per tutti i medici: “Chi non ha pazienza, si arrabbia facilmente ed è introverso dovrebbe scegliere un altro mestiere”. Mandelli va dritto al punto, affermando con decisione le proprie convinzioni. Curare un malato vuol dire “credergli sempre quando afferma di provare dolore”, riconoscergli il diritto a non soffrire e di morire nella propria casa. E vuol dire saper instaurare un rapporto di empatia e un dialogo basato sulla fiducia reciproca. È questa l’unica chiave per spezzare l’alleanza che spesso si crea tra malati e venditori di “pseudocure”, in buona fede o meno: “Per sottrarre i malati a chi parla di cure alternative bisogna tenere sempre aperto il canale. Perché anche da questo spesso dipende la vita delle persone che si affidano a noi”, ricorda l’ematologo. E cita Davide Vannoni e l’affaire Stamina, ripercorrendo la storia delle chimere che hanno segnato la medicina in Italia: dalla cura Vieri al siero Bonifacio, al multi-trattamento Di Bella, di cui si continua a parlare ancora oggi.
Come spesso emerge dai seminari condotti dall’Ail per i pazienti, la comunicazione con i medici è una questione sempre più centrale. I malati lamentano la mancanza di tempo e la poco disponibilità dei dottori ad ascoltare e rispondere alle domande che più li spaventano. Mancano i momenti di condivisione e di chiarimento: il paziente spesso non sente che chi lo cura sta dalla sua stessa parte.
Il libro affronta, infine, la questione della ricerca indipendente. Lo fa attraverso la storia della Fondazione Gimema, il Gruppo italiano malattie ematologiche dell’adulto, al cui lavoro si deve la messa a punto del protocollo che ha reso guaribile la leucemia acuta premielocitica. Oggi, sull’esempio “del prof”, migliorare la qualità di vita dei malati è diventata un’altra delle missioni della Fondazione.
I ricavati della vendita del libro saranno interamente devoluti all’Ail. Il prossimo 4, 5 e 6 aprile l’associazione sarà anche in molte piazze italiane per distribuire le Uova di Pasqua AIL (con contributo minimo di 12 euro; qui tutte le informazioni).