Tre parole che fanno paura: sclerosi laterale amiotrofica. È il nome della malattia neurovegetativa che ha ucciso Stefano Borgonovo, ex calciatore quarantanovenne che l’aveva contratta nel 2005. Lo aveva reso pubblico nel 2008, creando contemporaneamente una fondazione onlus per sostenere la ricerca contro la “stronza“, come la chiamava ironicamente. Che, in Italia, si manifesta in media con tre nuovi casi al giorno, per un totale di sei ammalati ogni 100mila abitanti.
Cos’è la Sla
Borgonovo aveva ragione. La Sla è una sindrome particolarmente infida e subdola, che colpisce in modo progressivo e irreversibile il sistema nervoso e porta alla completa paralisi della muscolatura. In particolare, le vittime della Sla sono i motoneuroni, ossia le cellule nervose (visibili nell’immagine a sinistra) che controllano i movimenti della muscolatura volontaria. Ne esistono di due tipi: il motoneurone centrale o corticale, che si trova nella corteccia cerebrale e trasporta il segnale nervoso che arriva dal cervello al midollo spinale, e il motoneurone periferico o spinale che trasporta il segnale dal midollo ai muscoli. Nel paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica, alcune aree di queste cellule si induriscono (da qui il nome sclerosi, che vuol dire per l’appunto indurimento) e perdono progressivamente la loro funzionalità, fino a morire completamente nel corso di mesi o anni. Inizialmente, i motoneuroni superstiti riescono a sopperire ai colleghi atrofizzati, ma col passare del tempo la morte cellulare supera la capacità di compensazione e il malato va inevitabilmente incontro alla paralisi, senza che tuttavia le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali ne siano intaccate.
I sintomi
Uno dei tanti aspetti che rende la malattia particolarmente insidiosa è l’estrema variabilità nella sintomatologia, che può cambiare molto da soggetto a soggetto. Data la natura progressiva della patologia, comunque, in tutti i casi i sintomi evolvono sempre in maniera graduale. Di solito, i primi segni si manifestano in un arto: iniziano a indebolirsi i muscoli delle mani o dei piedi, il che porta generalmente a far cadere oggetti, a inciampare frequentemente o a compromettere altre semplici attività del vivere quotidiano. In altri casi, a essere colpita per prima è la capacità di parlare, deglutire o masticare. Il malato di Sla avverte debolezza, rigidità e contrazioni muscolari involontarie, tutte dovute al processo di atrofizzazione dei motoneuroni.
Come si diagnostica
A causa della variabilità dei sintomi, non è semplice diagnosticare la Sla, che spesso – specie nella fase iniziale – è confusa con altre patologie, come tumori del midollo spinale, sclerosi multipla e compressione dei nervi. Esistono comunque una serie di test ed esami, tra cui l’ elettromiogramma e la velocità di conduzione nervosa, che aiutano il medico a distinguere la Sla da patologie simili e arrivare quindi a una diagnosi corretta.
Il decorso
Con il progredire della malattia, i sintomi si estendono a zone sempre più ampie, portando all’incapacità di controllare i movimenti delle braccia, delle gambe o del corpo. Quando la paralisi coinvolge anche i muscoli del diaframma e della parete toracica, il paziente non riesce più a respirare e ha bisogno del supporto di una macchina. In genere, i problemi respiratori iniziano a insorgere entro 3-5 anni dall’esordio della malattia. L’ aspettitiva di vita per un malato di Sla è attualmente di 3-10 anni.
Le cause
Non sono ancora conosciute completamente. Quello che è ormai accertato è che la Sla è una malattia multifattoriale, dovuta cioè a cause diverse e concomitanti. Alcuni tra i possibili fattori che portano all’insorgenza di Sla sono, comunque: l’ eccesso di glutammato, un amminoacido usato dalle cellule nervose come segnale chimico (infatti l’unico farmaco approvato nella terapia, il riluzolo, è un riduttore di glutammato); la predisposizione genetica; la carenza di fattori di crescita, sostanze prodotte naturalmente dall’organismo che aiutano la crescita dei nervi; l’eccesso di anticorpi; fattori ambientali, come esposizione a alluminio, mercurio e piombo, elementi che danneggiano le cellule nervose; virus.
Le terapie attuali
Al momento, non esiste alcuna terapia per la Sla. L’unico farmaco approvato dalla Food and Drug Administration è il riluzolo, che, come detto prima, riduce il glutammato e rallenta il danno ai motoneuroni, prolungando la sopravvivenza di alcuni mesi soprattuto nei pazienti con difficoltà a deglutire. Gli altri trattamenti sono solo di supporto, volti a migliorare la qualità di vita del malato, riducendo la sensazione di fatica, i crampi muscolari, la saliva in eccesso, la formazione di catarro. La fisioterapia e l’uso di attrezzi come rampe, bracciali, camminatori e sedie a rotelle aiutano i pazienti a mantenere – per quanto possibile – la propria indipendenza e rimanere mobili.
La sperimentazione in corso
Al momento, i ricercatori stanno studiando varie soluzioni per ritardare l’avanzamento della malattia e, se possibile, arrestarlo del tutto. Una possibile cura potrebbe venire dal litio, medicinale già usato in campo psichiatrico per la stabilizzazione dell’umore, che potrebbe rallentare il decorso della Sla: il suo effetto è stato testato con successo su topi ed esseri umani, ma, data la piccola dimensione del campione su cui è stata effettutata la sperimentazione, sono necessarie ulteriori ricerche per validare la terapia. Ancora più promettenti sembrano essere le cellule staminali, che una volta inoculate tendono a spostarsi nella zona in cui si trovano i neuroni danneggiati e quindi potrebbero essere utilizzati a scopi terapeutici. A questo proposito, come vi abbiamo già raccontato, nei giorni scorsi i ricercatori italiani dell’ Associazione Neurothon Onlus hanno annunciato la conclusione – con esito positivo – dei trial clinici di fase 1 relativi al trapianto di cellule staminali cerebrali umane per la cura della Sla. Che si sono rivelate “prive di effeti collaterali”. A breve partirà la seconda fase della sperimentazione, che indagherà l’effettiva efficacia terapeutica dei trapianti. Incrociamo le dita.
Via: Wired.it
Credits immagine: Nephron/Wikimedia Commons