Che cos’è la materia oscura? E di cosa è fatta? Invisibile, impalpabile e sfuggente, questa sostanza, che secondo le teorie fisiche potrebbe costituire la gran parte (più dell’80%) della composizione dell’Universo, è oggi ancora un mistero. Nonostante la sua abbondanza, infatti, non si sa da cosa sia composta. Gli scienziati ipotizzano che sia costituita da ipotetiche particelle dal comportamento e dalle proprietà insolite. Ma oggi due fisici teorici dell’Università della California a Davis avanzano una nuova proposta. I ricercatori hanno individuato un nuovo potenziale metodo per cercare di conoscere meglio la materia oscura. I risultati, che sono pubblicati in preprint su arXiv, sono stati presentati alla 22a conferenza internazionale Planck 2019.
Dalle Wimp al fotone oscuro
Per molto tempo gli scienziati hanno ritenuto che la materia oscura sia composta da particelle per ora mai osservate, dette Wimp (Weakly Interacting Massive Particle, particelle massive debolmente interagenti). Queste particelle appunto interagiscono soltanto debolmente con la materia, una delle ragioni per cui sarebbero sfuggite alle osservazioni. “Non sappiamo ancora cosa sia la materia oscura”, ha detto John Terning, docente di fisica alla Uc Davis e coautore sulla carta. “Il candidato principale per molto tempo è stato il Wimp, ma sembra che sia quasi del tutto escluso”.
Ora i fisici sono a caccia di nuovi modelli. Un’ipotesi recente riguarda la presenza di una quinta forza, in aggiunta alle quattro forze fondamentali (elettromagnetica, debole, forte e gravitazionale), che descrivono l’intero universo secondo la fisica. A questa forza sarebbe associata una particella, il fotone oscuro, che a differenza del fotone classico avrebbe una piccola massa. E che insieme alla quinta forza potrebbe aiutare a spiegare di cosa è fatta la materia oscura. La presenza di questa particella è già indagata dall’esperimento PADME ai Laboratori Nazionali di Frascati, che farà collidere positroni accelerati contro un bersaglio fisso cercando tracce del fotone oscuro.
Un nuovo modello, cos’è la materia oscura
Oggi i due autori, John Terning e Christopher Verhaaren, aggiungono un nuovo possibile tassello: un monopolo magnetico oscuro che interagisce col fotone oscuro. Nel mondo macroscopico, i magneti hanno sempre due poli (nord e sud) e il monopolo magnetico, pur esistendo in teoria (nella meccanica quantistica), non è mai stato osservato.
Secondo i due fisici questo monopolo oscuro potrebbe interagire con i fotoni e gli elettroni oscuri nello stesso modo in cui un monopolo normale interagisce, sempre in teoria, con fotoni e elettroni. La nuova interazione – aggiungono gli autori – potrebbe essere importante per rivelare le particelle oscure, alla base della materia oscura. Secondo i fisici la presenza di questo monopolo magnetico potrebbe essere utile per riuscire a identificare la presenza di particelle oscure.
I monopoli oscuri per trovare la materia oscura
In passato, il premio Nobel per la Fisica Paul Dirac si interessò ai monopoli magnetici e nel 1931 provò che la loro esistenza potrebbe essere legata a particolari fenomeni quantistici, legati alla quantizzazione della carica elettrica. In particolare, gli autori hanno studiato, con complessi calcoli teorici, l’effetto Aharonov-Bohm. Si tratta di un fenomeno di meccanica quantistica in cui un elettrone è influenzato da un campo elettromagnetico anche se non passa attraverso il campo (in una regione, dunque in cui il campo è nullo).
Studiando questa influenza sulle particelle cariche (gli elettroni) gli scienziati della UC Davis spiegano che si potrebbe rilevare la presenza del campo elettromagnetico e dunque anche del monopolo magnetico oscuro. Provando la presenza di questi fenomeni si potrebbe riuscire a comprendere meglio che cos’è la materia oscura e come si comporta. “Questo è un nuovo tipo di materia oscura”, sottolinea Terning, (differente dal precedente modello basato sulle Wimp) e l’autore rimarca che nello studio viene dettagliato un nuovo complesso metodo per cercarla.
Le difficoltà pratiche
Tuttavia le criticità non mancano: gli effetti quantistici da osservare sono davvero minimi, tanto che sono ancora più difficili da rilevare rispetto alle onde gravitazionali. Ma la speranza è l’ultima a morire. Terning, infatti, fa notare che quando è stato proposto per la prima volta l’esperimento dell’osservatorio statunitense Ligo le tecnologie per scovare le onde gravitazionali ancora non esistevano e sono state costruite nel tempo. E allo stesso modo potrebbe accadere anche per la materia oscura.
Riferimenti: arXiv