HomeSpazioCosì nasce un buco nero

Così nasce un buco nero

di
Claudia De Luca

La nascita di un buco nero, un oggetto così denso che nemmeno la luce riesce a sfuggire alla sua attrazione gravitazionale, è sempre stata considerata un evento così impercettibile da sfuggire a qualunque tipo di strumento. Ma secondo la nuova analisi di Tony Piro, del California Institute of Technology (Caltech), basterebbe cercare i segnali giusti per poter osservare questi fenomeni, che non sarebbero poi così invisibili. E i segnali giusti sono distinti e caratteristici segnali luminosi emessi da una stella morente appena prima delle formazione di un buco nero. Lo studio è stato presentato sulle pagine di Astrophysical Journal Letters.

Secondo la consolidata teoria sull’origine di questi ‘mostri’ dell’Universo, quando una stella massiva, terminato il suo combustibile, collassa a causa della propria gravità dà origine ad un oggetto estremamente denso, il buco nero appunto (dopo una fase in cui si origina una stella di neutroni). Questo processo produce anche dei neutrini, particelle che attraversano facilmente quasi ogni tipo di materia e viaggiano a velocità prossime a quella della luce. I neutrini che vengono prodotti si allontanano dal neonato buco nero, trasportando con sé una grande quantità di energia e quindi anche grandi quantità di massa (per l’equivalenza tra massa ed energia stabilita da E=mc2). Questo rapido calo di massa, a sua volta causa una diminuzione della forza gravitazionale del nucleo, e, di conseguenza, un improvviso allontanamento degli strati gassosi più esterni della stella morente, dando origine a un’onda d’urto che viaggia a una velocità di circa 1000 chilometri al secondo.

Tramite alcune simulazioni al computer, Elizabeth Lovegrove e Stan Woosley della University of California hanno recentemente scoperto che questa onda, colpendo i livelli gassosi, scalderebbe il gas producendo un bagliore in grado di splendere per circa un anno. Questo bagliore, nonostante un milione di volte più luminoso del Sole, sarebbe tuttavia fioco in confronto alle altre stelle, e non sarebbe osservabile in altre galassie.

Nel suo studio Piro ha analizzato in dettaglio cosa succede quando l’onda d’urto colpisce la superficie della stella, calcolando che solo l’impatto causerebbe un flash di luce tra le 10 e le 100 volte più brillante del bagliore previsto da Lovegrove e Woosely, abbastanza da rendere l’evento osservabile nelle galassie vicine alla nostra. Il flash durerebbe quasi dieci giorni prima di spegnersi, e raggiungerebbe il picco di luminosità nelle lunghezze d’onda ultraviolette.

Secondo Piro, gli astronomi potrebbero essere in grado di individuare questi fenomeni circa una volta l’anno grazie ai telescopi già utilizzati per cercare le supernove. Infatti, grazie a questo studio, gli scienziati potranno ottimizzare gli strumenti per massimizzare la probabilità di osservare la nascita di un buco nero, grazie anche a progetti quali il Large Synoptic Survey Telescope (Lsst), che comincerà un’enorme mappatura del cielo notturno nel prossimo decennio. “Se Lsst non riesce ad osservare regolarmente questo tipo di fenomeni” ha commentato Piro “allora vuol dire che forse c’è qualcosa che non va con la teoria, o forse che in realtà il processo di formazione dei buchi neri è molto più raro di quanto abbiamo immaginato”.

Riferimenti: Astrophysical Journal Letters doi:10.1088/2041-8205/768/1/L14

Credits immagine: Nasa via Wikimedia

RESTA IN ORBITA

Articoli recenti