Covid-19 fa male anche al cuore. Che l’infezione da Sars-cov-2 colpisse anche altri organi oltre ai polmoni è stato chiaro fin dai primi mesi della pandemia. Nei reparti di ospedale in cui venivano ricoverati, spesso accadeva che i pazienti sviluppassero complicanze cardiache. Adesso arriva la conferma da uno studio di grandi dimensioni, guidato dai ricercatori della Washington University di St. Louis, negli Stati Uniti: dalle analisi condotte su oltre 11 milioni di cartelle cliniche appartenenti a veterani statunitensi, è emerso l’infezione da Sars-cov-2 ha un impatto sul cuore importante e duraturo, che colpisce anche chi ha avuto la malattia lieve e chi non presenta fattori di rischio.
Tutte le conseguenze e i danni da Covid-19 sul corpo
Nelle persone che avevano sviluppato Covid-19 un anno prima, infatti, i ricercatori hanno individuato un rischio aumentato per 20 diverse malattie cardiache e vascolari, tra cui infarto, aritmia, ictus e arresto cardiaco: secondo gli autori dello studio, questi effetti farebbero parte del cosiddetto long-Covid. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature medicine.
Le prime evidenze sulla sindrome respiratoria acuta severa causata dall’infezione di Sars-cov-2 suggerivano che essa potesse coinvolgere non solo i polmoni, ma anche altri organi, tra cui il sistema cardiovascolare. Alcuni studi, infatti, seppur di piccole dimensioni e limitati a persone che erano state ricoverate in ospedale, hanno analizzato le conseguenze su cuore e vasi sanguigni della cosiddetta fase post-acuta della malattia (ovvero la fase dopo circa quattro settimane dall’infezione da coronavirus), rilevando un incremento del rischio per alcune malattie cardiovascolari. In più, queste evidenze si sono intrecciate quelle che indicano che Covid-19 possa portare a complicanze a livello di numerosi organi: tutto ciò rientrerebbe nella vasta gamma di problemi di salute che insorgono quattro o più settimane dopo essere stati infettati da Sars-cov-2 e che prendono il nome di long Covid.
Lo studio, i limiti e i risultati
Dal momento che mancavano i dati sugli esiti cardiaci di Covid-19 sul lungo periodo e nelle persone non ospedalizzate, il gruppo dell’università statunitense ha deciso di indagare l’impatto cardiovascolare di Sars-cov-2 su un grande numero di persone e per un periodo di tempo significativamente maggiore rispetto agli studi precedenti: i ricercatori hanno utilizzato il più grande database di cartelle cliniche degli Stati Uniti che comprendeva dati sanitari relativi a oltre 11 milioni di veterani, la cui età media era circa di 60 anni. Gli autori dello studio, quindi, hanno confrontato le cartelle cliniche di più di 150mila persone sopravvissute a Covid-19 con due gruppi di controllo: un gruppo di oltre cinque milioni di persone che non avevano contratto Sars-cov-2 durante la pandemia e i dati di un gruppo di dimensioni simili risalenti al 2017.
Uno dei principali limiti dello studio è che la popolazione considerata era fin troppo omogenea: in tutti e tre i gruppi, circa il 90% dei pazienti erano uomini e dal 71% al 76% erano caucasici. A questo punto, dati alla mano, gli scienziati hanno quantificato la possibilità che i sopravvissuti a Covid-19 sviluppassero malattie cardiovascolari, cercando di correggere i difetti relativi all’omogeneità di genere ed etnia con strumenti statistici.
I risultati sono andati oltre quanto previsto: le persone guarite da Covid-19 nell’anno successivo all’infezione hanno riportato un incremento di 20 diversi esiti cardiovascolari, tra cui infarti del miocardio, aritmie, ictus, attacchi ischemici transitori, insufficienza cardiaca, malattie cardiache infiammatorie, arresto cardiaco, embolia polmonare e trombosi venosa profonda.
Complessivamente ogni 1.000 persone del gruppo guarito dall’infezione, ve ne erano 45 in più rispetto ai gruppi di controllo con una qualsiasi delle condizioni cardiache analizzate: per esempio, le persone con Covid-19 mostravano il 52% in più di probabilità di sviluppare un ictus e il 72% in più di sviluppare insufficienza cardiaca. Non solo: sebbene il ricovero in ospedale aumentasse la probabilità di future complicanze, l’incremento del rischio cardiovascolare era presente anche nelle persone che avevano sviluppato la malattia lieve e in quelle che non presentavano fattori di rischio.
“Abbiamo riscontrato un aumento del rischio di problemi cardiovascolari negli anziani e nei giovani, nelle persone con diabete e senza diabete, nelle persone con obesità e nelle persone senza obesità, nei fumatori e nelle persone che non hanno mai fumato”, conferma Ziyad Al-Aly, co-autore dello studio.
Questione di long Covid
Per i ricercatori non è ancora chiaro in che modo Sars-cov-2 possa provocare questi danni: un possibile meccanismo sembrerebbe essere quello mediato dai processi infiammatori dovuti all’infezione che colpiscono le cellule endoteliali ( le cellule che rivestono l’interno del cuore e dei vasi sanguigni), sebbene non ci siano prove univoche in grado di dimostrarlo e che sono stati ipotizzati anche altri possibili meccanismi di danno cardiovascolare indotto da Covid-19. Comunque sia, gli autori dello studio ritengono che le complicanze cardiache potrebbero avere a molto in comune con i sintomi tipici del long Covid, rappresentandone una sfaccettatura.
“Questa è una chiara prova di danni cardiaci e vascolari a lungo termine. Cose simili potrebbero accadere nel cervello e in altri organi con conseguenti sintomi caratteristici di long-Covid, inclusa la nebbia cerebrale”, continua Al-Aly. Una cosa è certa: a fronte di questo studio, i ricercatori concordano che gli operatori sanitari di tutto il mondo dovrebbero essere preparati ad affrontare un aumento delle condizioni cardiovascolari, anche quando la pandemia sarà finita o non sarà più nella fase di emergenza. “Abbiamo collettivamente fatto un errore con Covid-19 – chiosa Al-Aly -. E sento che stiamo per farlo anche per il long Covid”.
Via: Wired.it
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