I dati raccolti dall’inizio della pandemia dicono che Covid-19 aumenta in modo significativo le probabilità che il paziente incorra in ictus e in trombosi venose cerebrali. Se l’influenza aumenta di quasi 3 volte il rischio di ictus, con Covid-19 l’incremento è ancora maggiore. Ne hanno discusso esperti mondiali alla Eso-Wso 2020, la conferenza virtuale organizzata dalla European Stroke Organization e dalla World Stroke Organization. Ecco cosa è emerso.
Ictus più frequenti e più gravi
Anche le emorragie intracerebrali nei pazienti Covid sembrano più frequenti, ma non è chiaro se a causarle siano le terapie anticoagulanti impiegate nel trattamento della malattia da coronavirus, il danno ai vasi indotto dal virus stesso, o entrambe.
I dati indicano anche che gli ictus dei pazienti Covid sono mediamente più gravi. Questi pazienti possono presentare occlusioni o emorragie multiple dei vasi cerebrali e dunque il danno può interessare diverse aree del cervello.
L’infiammazione scatenata dall’infezione sembra comunque il fattore trainante. I pazienti Covid mostrano danni all’endotelio dei vasi sanguigni, lesioni che da una parte determinano una maggiore tendenza a piccoli sanguinamenti (emorragie) e dall’altra alla coagulazione del sangue. Anche il cuore sembra venire coinvolto nel processo infiammatorio: potrebbe quindi funzionare male e spingere coaguli fino al cervello.
Anche i giovani rischiano
La maggior parte dei pazienti Covid colpiti da ictus presenta a monte i classici fattori di rischio cardiovascolari, quindi è probabile che l’infezione da coronavirus sia solo un fattore scatenante dell’evento in individui già predisposti. I dati però dicono che anche pazienti giovani con pochi o nessun fattore di rischio cardiovascolare possono avere un evento ischemico o emorragico nel tessuto cerebrale.
L’ombra della pandemia sulle malattie cardiovascolari
Un’analisi ancora preliminare dei dati dei registri nazionali e internazionali mette in evidenza come la pandemia abbia modificato le statistiche relative alle malattie cardiovascolari, in particolare agli ictus: gli accessi ai pronto soccorso, le indagini di imaging e i ricoveri ospedalieri per ictus sono calati dal 10 al 50% in questi mesi di emergenza sanitaria globale.
A non venire rilevati per mancato accesso alle cure sarebbero soprattutto gli ictus transitori o minori: avendo meno contatti sociali, le persone potrebbero non accorgersi da sole del problema; oppure, non percependo la gravità dell’evento, preferiscono non rivolgersi ai servizi ospedalieri per paura del contagio o anche per non gravare su un sistema sanitario già sotto pressione.
Di conseguenza anche gli interventi di risoluzione sono diminuiti (del 10%, fino al 20-30% in alcune parti del mondo), mentre l’intervallo di tempo tra l’insorgenza dell’ictus e il trattamento in acuto si è allungato, a scapito del paziente e del suo percorso di recupero.
Oltre a questi effetti collaterali immediati della pandemia, sostengono gli esperti, si cominciano a vedere anche le conseguenze sul medio e lungo termine: la mancata assistenza e la somministrazione tempestiva di terapie adeguate farà sì che anche chi avrebbe potuto giovare di un percorso riabilitativo di successo potrebbe invece peggiorare perché non assistito; potrebbero aumentare le recidive, il tasso di disabilità causata dalla perdita di funzioni cerebrali, i decessi.
Immagine: Gerd Altmann via Pixabay