Quante persone sono già guarite da Covid-19? Difficile a dirsi, visto che la reale diffusione della malattia è proprio uno dei punti dolenti di questa epidemia. Dati più o meno ufficiali parlano di un po’ più di un milione di guariti nel mondo, una cifra che probabilmente andrebbe rivista al rialzo considerando che non abbiamo ancora una stima affidabile del numero di pazienti che ha sviluppato la malattia in forma asintomatica, e che molte persone con sintomi lievi sono sicuramente sfuggite alle statistiche ufficiali. Sappiamo qualcosa di più invece su cosa aspetta i pazienti una volta guariti, e purtroppo non sempre il ritorno alla normalità è veloce e indolore come vorremmo: tra strascichi psicologici, debolezza e problemi di ossigenazione, alcuni pazienti hanno di fronte settimane, se non mesi, di lento recupero prima di tornare in salute. E in alcuni casi non si possono escludere conseguenze a lungo termine. Vediamo meglio cosa ci sa dire oggi la scienza a riguardo.
Forme lievi
Un elemento fondamentale per la prognosi, anche nei pazienti Covid, è ovviamente la gravità dei sintomi. Molte persone sviluppano Covid in forma asintomatica, e non si accorgeranno mai di averla avuta a meno di sottoporsi a un test sierologico. Moltissimi altri sviluppano la malattia in forma paucisintomatica (cioè con sintomatologia particolarmente blanda) o con sintomi lievi. Qui le statistiche iniziano a farsi più affidabili, e secondo i dati diffusi dall’Iss dovrebbe trattarsi di circa il 51% delle diagnosi fatte in Italia (secondo la stessa fonte gli asintomatici sono il 17,1% dei positivi). Per loro il periodo di malattia non è così diverso da una normale influenza, e anche la guarigione segue un percorso simile: la febbre sparisce di norma nel giro di una settimana, e la malattia (con il suo strascico di sintomi come stanchezza, dolori muscolari, tosse, etc…) si risolve completamente in un paio di settimane.
Sintomi severi
Quando la malattia è abbastanza grave da richiedere un ricovero ospedaliero le conseguenze del virus iniziano a farsi più impegnative. Si tratta di pazienti che hanno sviluppato una polmonite grave e una conseguente sindrome da distress respiratorio. E sebbene sia presto per conoscere le conseguenze a lungo termine dell’infezione da Sars-Cov-2, è possibile ipotizzare almeno alcuni dei problemi che affronteranno i pazienti basandoci su quelli che vediamo normalmente in caso di polmonite. Innanzitutto, anche per i sopravvissuti spesso il danno polmonare legato a queste malattie causa problemi respiratori a lungo termine. Ci sono alcune testimonianze di problemi simili anche in pazienti che hanno sconfitto la Covid, e un articolo sul South China Morning Post racconta di persone con una riduzione della capacità polmonare che raggiunge il 20-30%, abbastanza per causare problemi di respirazione anche durante una banale passeggiata.
Quanto siano comuni casi del genere per il momento non si sa, ma non è l’unico pericolo che potrebbero affrontare i sopravvissuti a Covid-19. Nelle polmoniti gravi infatti non è raro che emergano problemi anche ad altri organi, legati all’infiammazione prolungata che hanno subito durante la malattia, che determinano un maggior rischio di soffrire di attacchi cardiaci, ictus, problemi renali. La strada verso la guarigione inoltre è ben più lunga per i pazienti abbastanza gravi da richiedere un ricovero ospedaliero: per guarire da Covid in questo caso possono volerci anche un paio di mesi, durante i quali si continua a soffrire di estrema spossatezza e altri sintomi della convalescenza.
Sintomi critici
Arriviamo infine ai pazienti più gravi, quel 5% (o meno, i dati italiani parlano di un 2,7%) con sintomi critici che spesso necessita di essere ricoverato in terapia intensiva. In questo caso (ma più in generale in ogni occasione in cui un paziente viene ricoverato in terapia intensiva) servono anche 12-18 mesi prima di un recupero totale. Nel caso della Covid, esistono testimonianze di insufficienza respiratoria e fatica anche per sforzi minimi nei pazienti una volta dimessi. Per chi viene intubato e collegato a un respiratore artificiale per lunghi periodi di tempo esistono inoltre rischi legati alla prolungata immobilità: piaghe da decubito, atrofia muscolare, debolezza. Non va sottovalutato infine il possibile impatto della malattia e della degenza sulla salute mentale dei pazienti.
Come il rischio di delirio (o delirium), uno stato confusionale in cui i pazienti sono disorientati, hanno difficoltà a pensare chiaramente e problemi di concentrazione, e che anche una volta risolto può causare deficit cognitivi a lungo termine. In parte è il virus stesso, attaccando il cervello, a causare il disturbo, ma anche i farmaci necessari per sedare i pazienti mentre sono intubati possono contribuire. E il problema si sta rivelando fin troppo comune, come racconta su Science lo pneumologo della VanderbiltUniversity Wesley Ely: “In questa epidemia di covid – avverte l’esperto – stiamo vedendo moltissimi casi di delirio”. Passare settimane immobile e semicosciente, collegato con un respiratore, è un’esperienza tutt’altro che piacevole, che può causare disturbi psicologici anche nel più resistente dei pazienti. Per questo motivo gli psicologi si aspettano di osservare anche una forte incidenza di disturbi psicologici nei pazienti dimessi dalle terapie intensive: problemi di ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico, che non andranno sottovalutati nei prossimi mesi, quando un numero sempre maggiore di persone torneranno a casa dopo aver sconfitto il virus.
Via Wired
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