Continua, accesissimo, il dibattito sulle origini di Sars-CoV-2. E una nuova meta-analisi, appena pubblicata in pre-print su Zenodo, corrobora l’ipotesi che fin dall’inizio era sembrata più solida. Secondo quanto si legge nello studio, in particolare, lo spillover del coronavirus da una specie animale e quella umana sarebbe molto più probabile rispetto alla possibilità della “fuga” del patogeno da un laboratorio. Nel loro lavoro, gli scienziati hanno puntato i dito soprattutto sulla pratica di vendere animali vivi nei mercati (quelli di Wuhan, nello specifico, dove tutto ha avuto inizio), tra cui zibetti e procioni, particolarmente sensibili ai virus, nei due anni precedenti all’inizio della pandemia, e hanno osservato una “sorprendente somiglianza” di Covid-19 con altre malattie virali arrivate all’essere umano tramite tracimazione da specie animali; infine, hanno identificato una grande varietà di virus recentemente scoperti negli animali e strettamente correlati al coronavirus che ha causato la pandemia attualmente in corso.
Per comprendere meglio le dinamiche degli spillover, e per essere preparati a nuove emergenze, abbiamo chiesto lumi a Stefania Leopardi, ricercatrice all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (Izsve). La scienziata ci ha confermato che effettivamente la responsabilità degli spillover è in gran parte nostra: “Le cause della tracimazione dei virus dagli animali agli esseri umani”, ha detto, “sono sempre antropogeniche, ossia legate ad attività umane come deforestazione, mercati vivi, allevamenti intensivi e cambiamenti climatici: gli spillover dipendono dal fatto che l’essere umano rompe l’equilibrio della fauna selvatica, portandola troppo vicino a se stesso o alla fauna domestica. Tra l’altro, introducendo dei fattori di stress gli animali tendono a defecare di più, il che amplifica i pericoli perché le feci ospitano grande quantità di virus”.
Gli osservati speciali, come abbiamo appreso in questi mesi, sono i pipistrelli, che ospitano un serraglio nutritissimo di virus: oltre a Sars-CoV-2, nei pipistrelli sono state trovate, per esempio, anche tracce di virus di Sars ed ebola (o, più correttamente, di varianti che gli somigliano molto). E la ragione è semplicemente statistica: i pipistrelli sono composti da oltre 1500 specie e rappresentano, da soli, circa un terzo di tutti i mammiferi; quindi, sulla base dei numeri, non è poi così strano che ospitino così tanti virus. Da tempo gli scienziati stanno studiando i pipistrelli molto da vicino, sia per capire perché tendono a non ammalarsi nonostante abbiano un viroma così nutrito che per analizzare e caratterizzare i virus che ospitano, cercando di identificare in anticipo eventuali minacce. Ma, ancora una volta: i pipistrelli, come pure tutte le altre specie animali, non vanno demonizzati, perché la responsabilità degli spillover e delle pandemie è solo e soltanto nostra.
Cosa fare, dunque, per prevenire nuove pandemie di questo tipo? “Anzitutto rispettare gli equilibri della fauna selvatica”, dice ancora Leopardi. “E poi continuare a studiare, ampliando la nostra conoscenza del viroma dei pipistrelli e degli altri mammiferi, e potenziare la sorveglianza dei focolai attivi sia nell’essere umano che negli animali domestici”.
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