Quasi la metà di chi ha contratto Covid-19 nella prima ondata ha avuto fra i sintomi una perdita protratta dell’olfatto, l’anosmia. E a distanza di un anno e mezzo dall’infezione diverse persone percepiscono gli odori ancora in maniera attenuata (iposmia) oppure alterata (parosmia). Questi dati arrivano da un piccolo studio svedese, condotto dal Karolinska Institutet, nei pressi di Stoccolma. Stando alla ricerca, qualche alterazione olfattiva sarebbe presente circa nel 65% delle persone guarite che si sono ammalate all’inizio della pandemia. Per fortuna soltanto nel 4% dei casi l’odorato è ancora completamente assente dopo così tanto tempo.
L’indagine è per ora circoscritta, dato che ha incluso 200 operatori sanitari, di cui la metà risultati positivi al coronavirus. Inoltre, non è ancora stata sottoposta al processo di revisione, il peer reviewing, ma è disponibile in anteprima (in preprint) su medRxiv. Tuttavia, la ricerca fornisce una prima indicazione della possibile presenza di alterazioni dell’olfatto molto anche durature.
Prima ondata, attenzione all’olfatto
Il lavoro ha incluso 200 persone che lavorano in un ospedale di Stoccolma, di cui 98 risultate positive a Sars-Cov-2 nella prima fase. Oltre a loro gli scienziati hanno inserito un gruppo di controllo esterno composto da 44 partecipanti, anche loro colpiti da Covid-19. Fra gli operatori sanitari positivi, circa il 40% ha dichiarato fra i sintomi anche il calo o la perdita dell’olfatto (e in certi casi anche del gusto, l’ageusia). Secondo i ricercatori, nella popolazione generale (non sanitari) la percentuale dei casi di anosmia o iposmia associata a Covid era anche più alta, pari a più del 50% dei casi. Ricordiamo che il coronavirus muta spesso e che le varianti circolanti oggi – omicron e ancora in piccola parte delta – sono meno spesso associate a questi sintomi.
Naso che cola, mal di testa, starnuti: è raffreddore o variante Omicron?
Per due su tre problemi a lungo termine
I risultati dello studio svedese mostrano che, fra le persone colpite dal problema, a distanza di 1 anno e mezzo complessivamente il 65% ha ancora qualche problema nel distinguere gli odori. Circa il 33% continua a non sentire in maniera completa gli odori, l’iposmia. Quasi la metà, invece, li percepisce ma in maniera distorta. Si parla in questo caso di parosmia, un’anomalia che può non farci riconoscere un determinato odore oppure farci sentire un cattivo odore al posto di un profumo o ancora percepire odori immaginari. In generale meglio agire tempestivamente: in qualche caso, per esempio, si possono seguire training per provare a recuperare parte della capacità di riconoscere gli odori.
Covid-19, menta e lavanda per recuperare l’olfatto
Percentuali da chiarire meglio
I dati sono da approfondire attraverso ricerche più estese. Da questo studio apprendiamo che il 33% delle persone ha ancora iposmia dopo tanto tempo. Tuttavia, bisogna considerare un elemento: nel gruppo di controllo circa il 20% delle persone soffrivano di un calo dell’olfatto già prima della pandemia, dato conforme a quello della media nazionale. Dunque, se questo dato fosse estensibile anche all’altro campione, in realtà l’iposmia protratta dovuta a Covid riguarderebbe meno casi (circa il 17% anziché il 33% stando ai calcoli degli autori). In generale l’obiettivo dello studio non è definire percentuali precise ma richiamare l’attenzione su un problema che potrebbe riguardare diverse persone. Ancora non è possibile trarre conclusioni, tuttavia gli autori segnalano che per chi ha ancora alterazioni dopo 1 anno e mezzo queste potrebbero risultare permanenti.
Riferimenti: medRxiv