Ding, ding! Un nuovo round tra l’Università della California e il Broad Institute del Massachusetts Institute of of Technology (Mit) si è da poco aperto. In palio per il vincitore del match, i diritti brevettuali per l’ormai celebre quanto contesa tecnologia Crispr, che fin dalla sua scoperta ha promesso di cambiare il futuro della medicina e della biologia grazie alla sua rivoluzionaria soluzione di editing genomico – con cui consente di tagliare e sostituire sequenze di Dna con una precisione mai raggiunta prima. Dopo aver perso l’ultimo round lo scorso febbraio, quando l’ufficio brevetti statunitense diede ragione al Mit, l’Università della California (Uc) è tornata all’attacco negli scorsi mesi rivolgendosi alla Corte d’appello del circuito federale. Rivendicando ‒ ancora una volta – l’estensione e l’esclusività dei diritti brevettuali, da cui pretende che il Mit venga al più presto estromesso.
Per comprendere meglio la vicenda bisogna tornare al 2012, quando l’ingegnere chimico Jennifer Anne Doudna e i colleghi dell’Uc di Berkeley dimostrano l’utilizzo della Crispr (Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats) per modificare il genoma di cellule batteriche. Pochi mesi dopo, Frank Zhang del Broad Institute del Mit trova un modo per adattare la tecnica al Dna delle cellule eucariote – proprie di piante, funghi e animali. Zhang deposita la domanda di brevetto nel dicembre 2012, con sei mesi di ritardo rispetto a Doudna, riuscendo tuttavia ad ottenere prima quanto richiesto (nell’aprile 2014) grazie all’acquisto della procedura accelerata pagata presso l’ufficio brevetti. L’Uc non ci sta e reagisce nel gennaio 2016 facendo appello al tribunale dell’United States Patent and Trademark Office (Uspto) con un’istanza giuridica per chiedere la revoca dei diritti concessi al Mit, che secondo i legali dell’Uc interferirebbero con quelli dei propri assistiti.
La risposta arriva a febbraio 2017 ed è un duro colpo per l’Uc. I giudici dell’Uspto non riscontrano interferenze e stabiliscono che il Mit può conservare i diritti sull’uso di Crispr sulle cellule eucariote. La dichiarazione rilasciata da Doudna dopo la sentenza lascia però presagire che la lotta legale non finirà qui: “Loro hanno un brevetto sulle palle da tennis verdi. Noi avremo un brevetto su tutte le palle da tennis”. Nonostante la decisione dell’Uspto, infatti, il gruppo di Berkeley continua a sostenere che il proprio brevetto copra i diritti dell’uso di Crispr su qualsiasi cellula. A dimostrazione del fatto, lo scorso luglio l’Uc si è rivolta alla Corte d’appello del circuito federale statunitense, reclamando nuovamente l’estensione dei diritti brevettuali. Diversa è la situazione in Europa – va precisato ‒ in cui il brevetto dell’Uc sembra includere anche l’uso sugli eucarioti, materia tuttavia sotto ispezione dell’Ufficio europeo dei brevetti.
Nel caso in cui, presto o tardi, entrambe le parti dovessero ottenere l’approvazione dei rispettivi brevetti per come sono formulati al momento, chiunque vorrà utilizzare la Crispr dovrà ottenere una doppia licenza. Partendo da questa considerazione, l’esperta internazionale di proprietà intellettuale Arti Rai punta i riflettori sulla vacuità di queste guerre legali alimentate dalla possibilità di acquisire diritti – e introiti ‒ spesso molto, troppo ampi: “L’inefficienza di queste costosissime dispute è ancora più marcata quando si tratta di gare ‘winner-takes-all’: maggiore e più esclusiva è la posta in palio, più la disputa diventa inutile”. Continua: “Ad oggi le evidenze ci dimostrano che i grandi monopoli della conoscenza, anche quando sono in mano alle università, non fanno altro che ostacolare il progresso scientifico”. Le sue idee sono state pubblicate oggi sul Policy Forum di Science.
Per Rai, riconoscere ampi brevetti non sembra dunque essere una buona idea, specialmente per tecnologie che hanno un vastissimo campo di applicazione, come è il caso di Crispr. “Il caso dei brevetti per Crispr-cas9 è esemplificativo – aggiunge Arti Rai nel suo articolo ‒ Le cas9 sono una vasta gamma di proteine biologicamente e funzionalmente differenti in diverse specie, che secondo i contendenti della disputa legale in atto dovrebbero tutte rientrare sotto lo stesso brevetto”. Una soluzione valida è allora quella di assegnare diritti più “stretti”, che favoriscano una più sana competizione e una maggiore diversità di risultati. Una strategia progressivamente sempre più adottata soprattutto dalle università, che stanno iniziando a concedere permessi esclusivi di utilizzo alle piccole startup, promuovendone la crescita.
La comunità scientifica (e non solo) non deve cadere nell’errore di seguire la linea della disputa legale. Come fa notare Rai, è necessario “non confondere i diritti legali con il merito scientifico”, e ricordarsi che successi come Crispr non possono che essere il risultato di un impegno globale di ricerca. In futuro, invece, sarà opportuno riconoscere i casi in cui il sistema brevettuale non rappresenti il miglior mezzo per promuovere l’applicazione di nuove tecniche o strumenti, e in cui assegnare ampi diritti esclusivi non risponda ai bisogni prioritari della popolazione, conclude Rai.