E allora, se non ci sono abbastanza organi umani per soddisfare tutte le richieste, perché non trovare il modo di trapiantare organi di animali direttamente nell’uomo? Ecco l’idea che sta dietro alla parola “xenotrapianti”, letteralmente “trapianto tra specie diverse”. Ma siamo di fronte a una nuova frontiera, in grado di restituire la speranza a quanti sono costretti ad attendere la morte di un ventenne che doni i propri organi, o piuttosto all’ennesima forzatura dell’uomo sulla natura? Il dibattito etico-morale è aperto e continuerà negli anni a venire. Di sicuro c’è, per ora, che le case farmaceutiche hanno fiutato l’ottimo affare. E investono. Anzi, tra i più avanzati in questo settore ci sono proprio i laboratori dell’industria. Ce lo conferma David White, direttore del Dipartimento ricerca e sviluppo della Imutran Limited di Cambridge (Gran Bretagna), una società del gruppo farmaceutico Novartis, nato dalla fusione dei colossi Sandoz e Ciba. Abbiamo rivolto qualche domanda al dottor White durante il convegno “Lo xenotrapianto tra scienza, etica e filosofia” che si è svolto nei giorni scorsi a Trieste, ospitato dalla Scuola intenazionale superiore di studi avanzati.
Dottor White, quali sono dal punto di vista scientifico i maggiori problemi da risolvere per gli xenotrapianti?
“L’ostacolo principale è il sistema immunitario del nostro organismo che riconosce come potenziale nemico ogni elemento estraneo e lo distrugge. E’ il meccanismo che ci protegge dai virus e dai batteri, ma nel caso dei trapianti d’organo è invece un problema. L’organismo “ospite” reagisce all’intervento con una crisi di rigetto che si verifica sempre, anche quando l’organo impiantato è umano. Nel caso degli xenotrapianti il problema è ancora più grave: si parla di rigetto iperacuto e l’organo viene distrutto entro poche ore, se non addirittura minuti, dall’intervento”.
Come cercate di superare queste crisi nei vostri animali da laboratorio?
“All’inizio pensavamo che il problema fossero gli anticorpi. Poi invece abbiamo scoperto che anche in animali privi di anticorpi si verificava la crisi di rigetto iperacuto. Infatti intervengono i cosiddetti “complementi”, sostanze che agiscono come bombe: se gli anticorpi ci sono essi guidano i complementi sul bersaglio, un po’ come i sistemi che guidano le “bombe intelligenti”. Senza anticorpi i complementi diventano “bombe stupide”, ma ugualmente distruttive. Quindi abbiamo cambiato strategia: cerchiamo di fare sì che l’organismo ospite riconosca l’organo trapiantato come “amico” anziché come “nemico” .
Ma per questo dovete intervenire geneticamente e modificare il Dna degli animali “donatori”…
“Certamente. Nei nostri laboratori alleviamo maiali transgenici, cioè maiali nel cui Dna sono stati inseriti geni umani. Proprio quei geni che fanno sì che un organo non venga riconosciuto come estraneo e possa quindi superare la crisi di rigetto iperacuto. Questi organi, cuori e reni in particolare, sono stati impiantati in babbuini e macachi, che sono parenti stretti dell’uomo. I risultati sono molto incoraggianti: non vi sono state crisi iperacute e, anzi, gli animali sono sopravvisuti fino a 2 mesi dopo l’intervento. E soprattutto la morte non è stata causata dal deperimento dell’organo trapiantato che è rimasto in ottime condizioni nella maggior parte dei casi”.
Quindi siete quasi pronti per i primi tentativi sull’uomo. Quando prevedete di poterli effettuare?
“Abbastanza presto. Credo che la domanda che dobbiamo porci sia: quando le nostre conoscenze tecniche e scientifiche saranno sufficienti a garantire che uno xenotrapianto possa dare una ragionevole speranza di sopravvivenza a un paziente. Non dimentichiamo che si tratta di pazienti che senza un trapianto sono destinati a morire…noi siamo a contatto tutti i giorni con queste persone e appena possibile vorremmo dare loro una speranza. Ora la sopravvivenza dei nostri animali in laboratorio supera i 2 mesi. Penso che quando arriveremo a 3 mesi, saremo pronti per un tentativo sull’uomo. E credo che sia un traguardo raggiungibile entro la fine di quest’anno o al massimo nei primi mesi del prossimo”.
Perché proprio il maiale, e non un animale più simile all’uomo, è stato scelto come “donatore” ideale?
“Vi sono molte ragioni che ci hanno fatto scegliere i suini. Innanzitutto c’è una considerazione etica. Per risolvere il problema della carenza di organi c’è bisogno di un gran numero di donatori. Sarebbe accettabile uno sfruttamento massiccio di animali strettamente imparentati con l’uomo come per esempio i primati? Poi c’è il fatto che i maiali si riproducono e crescono molto più in fretta e possono garantire un numero di organi sufficiente. Infine c’è una ragione strettamente anatomica: gli organi del maiale hanno dimensioni, e quindi “prestazioni” che si adattano molto meglio all’uomo che quelli degli altri primati”.
E il rischio del possibile passaggio di malattie tra le due specie…
“E’ il problema dei retrovirus, cioè quei virus che sono orma inglobati nel corredo genetico di ogni organismo e vengono trasmessi da una generazione all’altra. Normalmente i retrovirus sono innocui, tutti conviviamo con quelli disseminati in ogni cellula del nostro corpo. Tuttavia, in certe particolari condizioni artificiali, le cellule del maiale possono infettare altre cellule, anche quelle umane. Però non sappiamo se un retrovirus di maiale possa essere pericoloso per un uomo e se le condizioni dello xenotrapianto possano essere in grado di “liberare” questi retrovirus. Per questo stiamo studiando le nostre scimmie, che per ora non hanno mostrato segni di infezioni”.
A parte la questione se l’uomo abbia o meno diritto di sfruttare gli animali come “banche d’organi”, ci si potrebbe chiedere che senso abbia investire fondi tanto ingenti per ricerche avanzate quando in alcune zone del mondo vi sono malattie ben note, come il colera o la lebbra, che mietono ancora milioni di vittime…
“Questo è un problema su cui potremmo discutere per giorni…Comunque è bene tenere presente che i fondi per la ricerca medica avanzata non coprirebbero nemmeno l’1% delle spese di un progetto europeo come l’aereo militare Starfighter. Nel nostro caso, comunque, la realtà è che gli xenotrapianti permetterebbero di risparmiare, e molto. La sopravvivenza di un paziente in attesa di trapianto di rene, che ha bisogno della dialisi, costa circa 60 mila dollari all’anno. Con un trapianto, invece, gran parte di quei soldi verrebbero risparmiati e potrebbero servire per programmi sanitari nei paesi più poveri”.
Ma chi paga per queste ricerche, ricevete anche fondi pubblici?
“No. Questa ricerca è finanziata interamente dalla Novartis”.