Cicli di metano su Marte e (altre) molecole organiche. Se eravate tra quelli che, capitati tra gli articoli in cui si annunciava l’arrivo di nuove scoperte da Curiosity, attendevano ansiosi che la Nasa rivelasse di cosa si trattasse, anche stavolta, avete già soddisfatto la vostra curiosità. L’agenzia spaziale americana infatti ha annunciato con una diretta in streaming e in concomitanza con la pubblicazione di due articoli su Science che il rover Curiosity, da quasi sei anni a spasso sul Pianeta Rosso, ha trovato prove consistenti sulla presenza di molecole organiche su Marte, e di aver osservato che tra queste una, il metano, aumenta e si abbassa seguendo dei cicli stagionali. Cosa significa?
Premessa. La questione relativa alle nuove scoperte su Martegenera sempre un entusiasmo diffuso, producendo a volte veri e propri pettegolezzi nella caccia alla notizia in attesa degli annunci ufficiali. La ragione va ricercata in quello che Marte rappresenta: un vicino cui guardiamo da tempo a caccia di indizi che possano puntare a identificare la presenza di forme di vita presenti o passate, quali appunto la presenza di molecole organiche. Organiche sono infatti tutti i mattoni su cui si fonda la nostra vita: dna, proteine, carboidrati e grassi. E, come accaduto in passato, a tenere banco anche questa volta è l’implicazione delle scoperte dal punto di vista astrobiologico. Anche se, come annunciato a inizio della conferenza di presentazione dei risultati, non stiamo parlano di vita. Non oggi. Ma andiamo con ordine, spiegando prima di tutto cosa ha trovato Curiosity.
Stagioni di metano
Protagonista del lavoro guidato da Chris Webster del Jet Propulsion Laboratory d Pasadena (California) è il metano, la più semplice delle molecole organiche. Da analisi precedenti sappiamo già che l’atmosfera di Marte ne contiene in piccole quantità, ma la sua origine è tutt’altro che chiara, e chiama in ballo ipotesi abiotiche – interessanti ma relativamente per chi va a caccia di marziani – che biologiche, decisamente più ghiotte. Sul nostro pianeta infatti il metano è prodotto principalmente da fonti biologiche. Mettendo insieme i dati relativi al monitoraggio del metano raccolti nel corso di 55 mesi dallo strumento Tunable Laser Spectrometer di Curiosity presso il cratere Gale, Webster e colleghi hanno osservato dei cicli stagionali. Durante questi cicli le concentrazioni di metano variano, oscillando tra 0.24 e 0.65 parti per miliardo, raggiungevano i picchi massimi in prossimità della fine dell’estate per l’emisfero settentrionale. “Si tratta di una scoperta sorprendente, perché parliamo di variazioni fino a tre volte dai valori più bassi osservati. Ogni capitolo nella storia di Marte è sorprendente”, ha commentato Webster, “Il metano che abbiamo osservato è rilasciato o creato e sappiamo che sulla Terra gran parte di questo gas arriva da processi biologici”.
Il team di Webster non guarda però solo ai processi biologici (ipotesi che ancora tiene, ribadisce), ma punta il dito anche a processi fisici o chimici che possano spiegare le fluttuazioni osservate, in superficie o appena sotto. Tra le ipotesi chiamate in ballo c’è infatti quella secondo cui il metano si troverebbe intrappolato in cristalli noti come clatrati, come già ipotizzato in passato, da cui verrebbe rilasciato seguendo le fluttuazioni stagionali delle temperature.
Quante molecole organiche su Marte
Ma i cicli di metano su Marte non sono che metà della notizia. L’altra riguarda infatti i risultati delle analisi compiute su campioni prelevati dal suolo marziano, in particolare dalle rocce lacustri di due siti nel cratere di Gale (Mojave e Confidence Hills), in una formazione vecchia di oltre tre miliardi di anni. Le analisi sono state condotte con lo strumento Sample Analysis at Mars (Sam) a bordo del rover, dopo aver riscaldato i campioni prelevati a temperature altissime.
Analizzando i risultati, il team di ricercatori guidati da Jen Eigenbrode del Goddard Space Flight Center di Greenbelt hanno osservato la presenza di diverse molecole organiche (quali tiofene, 2- e 3- metiltiofene, metantiolo, e solfuro dimetile)probabilmente derivate a loro volta da molecole più grandi, spiegano gli esperti. “Le analisi che mostriamo derivano dai campionamenti fatti a una profondità limitata, ad appena 5 centimetri – spiega Eigenbrode – i campioni prelevati, dopo essere stati riscladati, sono stati analizzati grazie a tecniche di cromatografia e spettrometria di massa, per identificare i diversi componenti”.
Le analisi di Sam non possono spingersi oltre, a suggerire per esempio la fonte di quelle molecole organiche, che potrebbero essere biologiche, come meteoritiche o geologiche. Anzi, continuano i ricercatori: se le tracce delle molecole organiche rinvenute nella formazione di Murray fossero dovute alla presenza di un’antica forma di vita di sicuro sono state alterate abbastanza da nasconderne caratteristiche più famigliari con la vita stessa (per come la conosciamo). Le loro caretteristiche, precisano gli esperti, non puntano necessariamente alla presenza di vita su Marte. Ma magari dovremmo solo cercare altrove, in posti meno esposti ai danneggiamenti prodotti dalle condizioni estreme (per rischio ionizzazione e ossidazione) di quelli analizzati.
Di certo, conclude Inge Loes ten Kate della Utrecht University in una news che accompagna la pubblicazione su Science la scoperta di altre molecole organiche su Marte rende l’ipotesi di una passata vita su Marte più opportuna, anche se più speculativa rispetto alle ipotesi geologiche o di contaminazione spaziale per spiegare la presenza di questi composti sul Pianeta Rosso. Ma non solo: la scoperta annunciata oggi, ha spiegato Eigenbrode, potrebbe rivelarsi utile anche in vista di future colonie umane su Marte. Per esempio le molecole organiche potrebbero alimentare coltivazioni agricole su Marte: “Quello che potremmo fare con le tecnologie del futuro è un libro aperto”, commenta la ricercatrice .
La caccia continua. Buon lavoro a Curiosity e colleghi, con la speranza che andando più a fondo sulla superificie marziana anche la storia del pianeta diventi più chiara.
Via: Wired.it