Dai coralli la verità sulla Deepwater Horizon

E’ peggiore del previsto e senza precedenti l’impatto ambientale della fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma Deepwater Horizon (leggi tutti gli articoli di Galileo). A rivelare i reali danni agli ecosistemi marini nelle acque profonde del Golfo del Messico, a quasi due anni dall’incidente, sono le condizioni dei coralli, osservate da un gruppo di ricercatori coordinati da Charles Fischer della Pennsylvania State University e descritte sui Proceedings of National Academy of Science

Per valutare correttamente lo stato della barriera corallina, i ricercatori hanno organizzato due spedizioni, la prima nell’ottobre del 2010, a sei mesi circa dall’incidente. Durante le tre settimane di studio, il team ha effettuato nove rilevazioni nel raggio di 20 km dal sito di Macondo (luogo del disastro), riportando dati piuttosto rassicuranti fino all’ultima ispezione. Durante quest’ultima analisi, grazie a un dispositivo comandato a distanza (ROV), i ricercatori hanno scoperto numerose comunità coralline in una zona a circa 11 km dalla piattaforma ricoperte da una sostanza marrone e che mostravano chiari segni di danni ai tessuti esterni.

“Non appena il Rov si avvicinato abbastanza da permetterci di avere una visuale chiara di ciò che si trovava in quel luogo, ho capito che per quei coralli qualcosa non andava”, spiega Fischer. “L’immagine che ci siamo trovati davanti era quella che ci aspettavamo, ma che non avremmo mai voluto vedere”.

Appena un mese dopo la prima spedizione gli scienziati hanno intrapreso un nuovo viaggio. In questa occasione erano dotati anche di un piccolo sommergibile attrezzato per la raccolta di materiale, chiamato Alvin, con cui il team ha raccolto numerosi campioni di corallo e filtrato lo strato marrone di cui erano ricoperti per eseguire le analisi. I risultati di questa seconda missione hanno mostrato che il 46 per cento dei coralli esaminati presentava segni evidenti dell’impatto del petrolio per oltre la metà della superficie della colonia, mentre nel 25 per cento dei casi a essere compromesso era il 90 per cento della superficie. L’esame del materiale marrone prelevato dai coralli ha inoltre rivelato che si tratta di un composto del petrolio fuoriuscito durante l’incidente. “Questi risultati – commenta Helen White, prima autrice dello studio – sottolineano la gravità senza precedenti dell’incididente alla Horizon in termini di magnitudo, rilascio in profondità e impatto sull’ecosistema marino profondo”.

“Le comunità biologiche che abbiamo esaminato sono separate dalle attività umane da più di 3.000 metri d’acqua e non ci si aspetterebbe di trovare dei coralli contaminati dal petrolio”, conclude la ricercatrice. “Se si fosse trattato di una petroliera arenata, infatti, l’impatto ambientale con le profondità oceaniche non sarebbe stato di questa entità; la profondità in cui si trovava il pozzo e la quantità di petrolio rilasciato hanno giocato un ruolo essenziale”.

Riferimenti: Pnas doi: 10.1073/pnas.1118029109

Nell’immagine, un corallo che mostra i segni dell’impatto: perdita di tessuto e materiale marrone a fiocchi sulle etremità della colonia. Credit Chuck Fisher/PSU/Woods Hole Oceanographic Institution

1 commento

  1. No, non e’ maggiore del “previsto”. Tutt’altro!
    Sono un amante del mare, delle immersioni e dei coralli.
    Partecipavo e molto alle notizie sul disastro della piattaforma in mezzo al mar dei Caraibi.
    La Deepwater Horizon ha perso petrolio per mesi e mesi.
    E che si trovino danni a 3.000 m. o a 11.000 metri dalla piattaforma sorgente del piu’ grande disastro delle perdite di petroli in mare di tutti i tempi mi pare proprio il minimo.
    Ed addirittura oltre meta’ della superficie di quei coralli NON e’ danneggiata! Solo un quarto e’ praticamente distrutta (oltre il 90%).
    Raramente ho letto un articolo che coi suoi toni esagerati abbia sortito i me un effetto totalmente contrario alle intenzioni del giornalista come quello qua sopra. Complimenti a lui.

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