Le Nazioni Unite festeggiano i 60 anni. E lo fanno presentandosi in grande spolvero: oltre 150 Capi di Stato e di Governo sono riuniti dal 14 al 16 settembre presso la sede Onu di New York per dare il via alla 60a Assemblea Generale. C’è da rifare il punto sulla lotta alla povertà, sul terrorismo, sulla proliferazione di armi di distruzione di massa, sui diritti umani e sulla riforma del Consiglio di sicurezza. Ma le attese sono presto tradite. La bozza di riforma partorita dal gruppo di lavoro incaricato dal presidente uscente dell’Assemblea Generale Jean Ping rinuncia ad affrontare molti temi, primo fra tutti il disarmo. È il risultato del braccio di ferro instauratosi, su questo come su altri temi, tra l’ambasciatore Usa John Bolton (il “falco” imposto da George Bush saltando l’approvazione del Congresso), il Segretario Generale e i paesi in via di sviluppo. Il documento approvato martedì ha avuto infatti una genesi particolarmente travagliata. Prima la sua elaborazione è stata bloccata per mesi dall’impegno preso da Kofi Annan di arrivare all’appuntamento con una proposta di riforma del Consiglio di Sicurezza, mentre lo scandalo Oil for Food e la rivalità con Washington sulla guerra in Iraq infiammavano gli animi e minavano la credibilità del Segretario Generale. Poi, a tre settimane dall’inizio del summit, Bolton ha presentato sul tavolo delle trattative ben 750 emendamenti, chiedendo modifiche sostanziali del testo, riga per riga. A questo punto anche paesi come Pakistan, Cuba, Iran e India hanno pensato di fare altrettanto. Dal capitolo “Disarmo e non proliferazione”, in particolare, l’ambasciatore americano, pur aumentando l’enfasi sulla non-proliferazione, aveva chiesto l’eliminazione di tutti i riferimenti all’obbligo degli Stati al disarmo nucleare. Anche la richiesta di un trattato per la messa al bando delle sperimentazioni nucleari (Ctbt), la cancellazione di ogni riferimento al Trattato sui materiali fissili (Fmct), l’estensione delle Zone libere da armi nucleari erano scomparsi dalla bozza americana. Così come gli unici due punti sulla regolamentazione delle armi leggere: l’adozione e l’applicazione di uno strumento internazionale per disciplinare l’identificazione e la tracciabilità, la mediazione illegale, il commercio e il trasferimento delle armi leggere, e la realizzazione del Programma di Azione dell’Onu del 2001, accordo che rappresenta il primo passo della comunità internazionale verso un effettivo controllo sul commercio delle armi leggere. Alla posizione di Bolton si è contrapposta quella dei paesi in via di sviluppo, che premevano invece per impegni al disarmo precisi da parte dei paesi occidentali e per misure di controllo delle armi leggere convenzionali, per essi una minaccia peggiore delle armi nucleari. Di fronte all’impossibilità di un compromesso, il Palazzo di Vetro ha finito per eliminare del tutto dal documento finale il capitolo della discordia. Per mettere d’accordo tutti, infatti, Ping ha ridotto il documento da 45 a 35 pagine, divise in cinque capitoli: il primo dedicato ai valori e principi delle Nazioni Unite, il secondo allo sviluppo, il terzo alla pace e alla sicurezza collettiva, il quarto ai diritti umani e l’ultimo alla riforma dell’organizzazione. Tutti temi che, seppur con evidenti lacune e solo in linea di principio, saranno affrontati durante il vertice. Nessun cenno invece al disarmo e alla proliferazione nucleare. Dure le reazioni di “Abolition 2000”, coalizione mondiale per la messa al bando delle armi nucleari e di Iansa, coalizione per la regolamentazione delle armi leggere, che già prima dell’apertura del Summit avevano lanciato un appello ai vari governi. “I paesi che hanno aderito al Trattato Internazionale sul Commercio delle Armi e al Trattato di non proliferazione volevano affrontare questi temi, quanto mai prioritari ora”, spiega Riccardo Troisi, della Rete Italiana Disarmo e tra i coordinatori della campagna ControlArms. “Nel 2000, quando se ne discusse, non era ancora avvenuto l’attacco alle Torri gemelle e le spese belliche non avevano raggiunto la cifra di 1.035 miliardi di dollari come è successo nel 2004”. Le normative di cui i paesi si sono dotati a livello nazionale sono insufficienti e facilmente eludibili, anche a causa della mancanza di una legge internazionale sul commercio delle armi, che è l’obiettivo campagna. “Discutere questi temi sarebbe stato fondamentale, sia in vista della conferenza Onu del 2006 in cui si dovrà promuovere il trattato sul commercio delle armi leggere, sia per mettere una toppa al fallimento della Settima Conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione”, continua Troisi. Ma l’unico a richiamare questi temi è stato nella prima giornata di lavori Kofi Annan. Rammaricato per l’accordo “al ribasso”, il segretario generale ha dichiarato che “gli errori più gravi sono quelli sul disarmo e sulla non proliferazione nucleare, visto che le armi di distruzione di massa rappresentano il più grande pericolo, soprattutto in un mondo macchiato di terrorismo”.